di Nicola Melloni
da Liberazione
Come riportato da Federico Fubini sulle pagine del Corriere, la
comunità economica internazionale tiene sotto costante scrutinio
l’Italia. In questi giorni, alla conferenza dell’Institute for New
Economic Thinking i delegati si sono trovati sotto gli occhi un breve
documento prodotto da Bridgewater – il più grande hedge fund
del mondo – che propone uno scenario catastrofico, per quanto
improbabile: Grillo che vince le elezioni, l’Italia che esce dall’euro,
l’Europa che collassa.
Il documento Bridgewater calcola una possibilità del 5-10% che questo
scenario diventi reale. Un rischio marginale ma non proprio irrilevante.
E, forse, sottostima i rischi. La crisi infatti sta entrando nella sua
fase peggiore, nonostante politici, analisti, giornali ci continuino a
ripetere che la ripresa è dietro l’angolo. La realtà, invece, è assai
diversa. Le stime economiche parlano di continua recessione e,
soprattutto, di un decennio di stagnazione alla fine del quinquennio di
crollo economico, con devastanti conseguenze sociali. Questo infatti
vorrebbe dire che non c’è, all’orizzonte, nessuna vera speranza di
ripresa dell’occupazione se non, come nel Regno Unito, di lavoro
precario e stagionale. Inoltre, gli effetti occupazionali della crisi
vengono magnificati da un cambiamento strutturale nell’industria che,
attraverso un nuovo ciclo di automatizzazione, sta ricominciando a
produrre diminuendo la forza-lavoro impiegata, come nel caso degli Stati
Uniti. Insomma, crescita zero, o quasi, con una quota sempre maggiore
di profitti a danno della quota salari.
In tutto questo i governi della Ue non solo non riescono a rilanciare la
crescita ma stanno anzi peggiorando la crisi, che ormai esce dai
confini del Sud Europa. La Francia è quasi in recessione, tant’è che il
ministro Moscovici ha chiesto più tempo alla Ue per raggiungere il
target del deficit che rischia di costare altre centinaia di migliaia di
posti di lavoro. La risposta tedesca è stata immediata: il rigore non è
in contrasto con la crescita.
Lo schema proposto è sempre lo stesso: la disoccupazione si traduce in
salari minori che rilancerebbero dunque produttività e competitività.
L’aggiustamento strutturale delle economie del Sud Europa dovrebbe
dunque avvenire sulla pelle dei lavoratori – come spiegato senza tanti
giri di parole dalle ricerche della banca d’affari francese Natixis.
Allo stesso tempo, i salari ridotti permetterebbero una riduzione
dell’inflazione e dunque tassi di interesse molto bassi per poter
rifinanziare il debito.
Un ragionamento economicista (per altro, come abbiamo detto più volte,
drammaticamente sbagliato) che non tiene in conto le decisive variabili
sociali e politiche. Ed è in questo, indubbiamente, che il documento di
Bridgewater potrebbe rappresentare una salutare boccata di aria fresca.
L’analisi della crisi deve muoversi dall’economia alla politica. In
Europa tassi di disoccupazione simili a quelli attuali non sono stati
registrati per quasi un secolo, e questo sta mettendo sotto tensione la
tenuta del patto sociale. Nel giro di appena un paio di anni abbiamo
visto la preoccupante crescita di un movimento para-nazista in Grecia e
di molti altri gruppi anti-sistema nel resto d’Europa. L’Italia
ovviamente è la punta dell’iceberg di questo fenomeno, come dimostrato
dalle ultime elezioni. E’ impensabile che una situazione del genere
possa durare ancora per lungo tempo. Nessuna democrazia è in grado di
sopportare livelli di disoccupazione a doppia cifra per oltre dieci
anni, né che i lavoratori continuino a impoverirsi senza batter ciglio.
Per uscire da quest’impasse è dunque urgente una grande ed innovativa
risposta politica. Purtroppo, però, l’Europa continua a rimanere un
progetto acefalo, un grande mercato senza una vera guida politica – se
non quella tedesca che sembra però non interessarsi ai bisogni degli
Stati mediterranei. Ma senza un progetto condiviso, senza un patto
sociale che tenga insieme gli europei su una base comune, senza le
istituzioni di un vero stato, il mercato europeo è destinato a
distruggere l’idea stessa di Europa.
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