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lunedì 8 aprile 2013

In Spagna il sistema politico va a pezzi



Prima la Grecia, ora la Spagna. In tutti e due i paesi il sistema politico post-dittatura si è retto su un solido bipartitismo, socialisti contro conservatori, diversi su molti punti (in Spagna, soprattutto sui diritti civili), molto simili su altri - accettazione acritica del mercato e dell'Europa, soprattutto.
La crisi economica, ormai conclamata crisi politica, sta cambiando tutto. In Grecia il bipartitismo è andato in pezzi, il PASOK è ormai una forza marginale, Syriza - un partito che fino a pochi mesi fa si sarebbe considerato antisistema - vola verso il 30% mentre a destra anche i fascisti sono in doppia cifra. Tant'è che per formare una maggioranza precaria e instabile si è dovuti ricorrere alla grande coalizione - ma dati i numeri, sarebbe il caso di dire, piccola coalizione - tra ex supposti avversari come conservatori e socialisti.

In Spagna ci si avvia verso uno scenario simile. Secondo l'ultimo sondaggio pubblicato da El Pais, socialisti e conservatori, insieme, hanno meno del 50%. Mentre avanza impetuosamente Izquierda Unida, che ormai tallona i socialisti. Non è ancora la Grecia - e d'altronde Madrid, per ora e per fortuna, non è Atene - ma la direzione è decisamente quella.

E d'altronde anche in Francia alle ultime elezioni abbiamo visto come tanto il Front de Gauche quanto la destra lepenista abbiano raggiunto risultati a due cifre. Ed in Italia, PD e PdL sono in una situazione simile.
Insomma, la crisi dell'Europa sta riportando a galla un nuovo tipo di politica, che in una maniera o nell'altra, nel bene o nel male, esce da quel sordo immobilismo neo-liberale, quel bipartitismo di facciata che condannava le democrazie ad adeguarsi all'ideologia dominante, a prescindere dal colore delle bandiere o dal nome del partito.
Il bi-polarismo è ormai morto e si porta con sè nella tomba quella sinistra liberale rappresentata dal PSE che ha rinunciato alla lotta sociale e a rappresentare i poveri e gli sfruttati. In gran parte d'Europa soffia un forte vento di protesta sociale, di domanda di cambiamento radicale. Se ne faccia una ragione Veltroni col suo partito a vocazione maggioritaria. E se ne faccia una ragione pure Vendola che, mentre la crisi ripropone con forza le questioni di classe e mentre in Europa rinasce una sinistra radicale, vuole abbandonare le ragioni della protesta, lasciandole in mano ai Grillo di turno, per andare a fare da gregario ad un socialismo europeo in crisi di identità prima ancora che elettorale.

mercoledì 28 marzo 2012

La speranza si chiama Andalusia
Di Monica Bedana



Tutto sembra congiurare contro un libero e sereno esercizio del diritto allo sciopero generale di domani in Spagna. Probabilmente sciopereranno solo i kamikaze disposti a perdere quei 113 euro spietatamente calcolati e sbandierati dalle testate di economia.
Gli impresari da giorni stanno annunciando che boicotteranno i picchetti informativi perché, in linea col Governo e le recentissime direttive dell'UE, “in questi tempi di crisi ciò che meno necessita il Paese è uno sciopero generale”; l'accordo per i servizi minimi non è stato raggiunto in ben 8 regioni; i dati macro pervenuti oggi dagli Stati Uniti hanno seminato il panico nell'Ibex 35; infine, da giorni si vocifera di un piano di salvataggio da parte dell'UE per ristrutturare le banche spagnole, nonostante Monti vada per il mondo a predicare che “la crisi della zona euro è quasi terminata”.

La giornata di sciopero precederà quella in cui il Governo presenterà al Parlamento la riforma del lavoro. Il clima è teso come una corda di violino non solo per le fortissime penalizzazioni previste dalla riforma per i lavoratori - molto simili a quelle su cui si sta discutendo in Italia - , ma anche per la mancanza totale di dialogo previo, di possibilità di trattativa tra Governo e parti sociali. O meglio, tra Governo e sindacati, perché in realtà la riforma gode del plauso unanime del mondo imprenditoriale. Il Governo liberista che sotto la guida di Aznar fomentò a dismisura la bolla nell'edilizia e favorí l'anarchia tossica del settore bancario, tornato al potere sa fornire un' unica ricetta affinché l'economia spagnola torni ad essere competitiva: comprimere all'osso i salari e, con essi, i diritti dei lavoratori. E porgere all'Europa come un trofeo il risultato dello scempio sociale.

Ma non tutto sarà più blu per Rajoy dopo le elezioni in Andalusia di domenica scorsa. Lí continueranno a governare i socialisti pur avendo perso 9 deputati; lo faranno con il contributo essenziale di Izquierda Unida, che ne ha guadagnati 6. L'opposizione al Governo si sposterà quindi in blocco in Andalusia, il futuro vero barometro della tendenza politica del Paese; ed Izquierda Unida ne  sarà il motore. Perché l'Andalusia è la regione più popolosa della Spagna, quella che più dipende dagli aiuti dello Stato, quella che ha più disoccupati. Solo da lí potrà ripartire la riconquista dello stato sociale grazie ad un partito che senza esitazioni si è schierato col sindacato, con i lavoratori e la loro lotta per il futuro.
“Nos vemos en las calles”, ci vediamo per le strade, il messaggio di Izquierda Unida per domani e per l'Europa. Per la sinistra di tutta Europa.

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