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giovedì 7 febbraio 2013

Keynes l'estremista e la sinistra

Riportiamo di seguito il bell'articolo di Barabara Spinelli su Repubblica, un duro atto di accusa contro il sistema economico e, di rimando, quello politico che sembra muto e sordo a cio' che avviene nella societa'. Dalle parole della Spinelli sembra chiaro che l'unica risposta di tipo politico a questo disastro possa venire dalla sinistra cosiddetta radicale, l'unica a contestare il paradigma economico dominante. Un vero peccato che, al contrario della Grecia, questa proposta alternativa non abbia trovato un contenitore unico ma abbia preferito a volte allearsi con chi questo sistema difende, a volte esprimere semplicemente un voto anti-sistema e non di articolata critica al capitalismo autoritario di inizio secolo


Se anche Keynes è un estremista

di Barbara Spinelli
da Repubblica


I PRÌNCIPI che ci governano, il Fondo Monetario, i capi europei che domani si riuniranno per discutere le future spese comuni dell'Unione, dovrebbero fermarsi qualche minuto davanti alla scritta apparsa giorni fa sui muri di Atene: "Non salvateci più!", e meditare sul terribile monito, che suggella un rigetto diffuso e al tempo stesso uno scacco dell'Europa intera. Si fa presto a bollare come populista la rabbia di parte della sinistra, oltre che di certe destre, e a non vedere in essa che arcaismo anti-moderno.

A differenza del Syriza greco le sinistre radicali non si sono unite (sono presenti nel Sel di Vendola, nella lista Ingroia, in parte del Pd, nello stesso Movimento 5 Stelle), ma un presagio pare accomunarle: la questione sociale, sorta nell'800 dall'industrializzazione, rinasce in tempi di disindustrializzazione e non trova stavolta né dighe né ascolto. Berlusconi sfrutta il malessere per offrire il suo orizzonte: più disuguaglianze, più condoni ai ricchi, e in Europa un futile isolamento. Sul Messaggero del 30 gennaio, il matematico Giorgio Israel denuncia l'astrattezza di chi immagina "che un paese possa riprendersi mentre i suoi cittadini vegetano depressi e senza prospettive, affidati passivamente alle cure di chi ne sa". Non diversa l'accusa di Paul Krugman: i governanti, soprattutto se dottrinari del neoliberismo, hanno dimenticato che "l'economia è un sistema sociale creato dalle persone per le persone".

Questo
dice il graffito greco: se è per impoverirci, per usarci come cavie di politiche ritenute deleterie nello stesso Fmi, di grazia non salvateci. Non è demagogia, non è il comunismo che constata di nuovo il destino di fatale pauperizzazione del capitalismo. È una rivolta contro le incorporee certezze di chi in nome del futuro sacrifica le generazioni presenti, ed è stato accecato dall'esito della guerra fredda.

Da quella guerra il comunismo uscì polverizzato, ma la vittoria delle economie di mercato fu breve, e ingannevole. Specie in Europa, la sfida dell'avversario aveva plasmato e trasformato il capitalismo profondamente: lo Stato sociale, il piano Marshall del dopoguerra, il peso di sindacati e socialdemocrazie potenti, l'Unione infine tra Europei negli anni '50, furono la risposta escogitata per evitare che i popoli venissero tentati dalle malie comuniste. Dopo la caduta del Muro quella molla s'allentò, fino a svanire, e disinvoltamente si disse che la questione sociale era tramontata, bastava ritoccarla appena un po'.

È la sorte che tocca ai vincitori, in ogni guerra: il successo li rende ebbri, immemori. Facilmente degenera in maledizione. Le forze accumulate nella battaglia scemano: distruggendo il consenso creatosi attorno a esse (in particolare il consenso keynesiano, durato fino agli anni '70) e riducendo la propensione a inventare il nuovo. Forse questo intendeva Georgij Arbatov, consigliere di politica estera di molti capi sovietici, quando disse alla fine degli anni '80: "Vi faremo, a voi occidentali, la cosa peggiore che si possa fare a un avversario: vi toglieremo il nemico". Quando nel 2007-2008 cominciò la grande crisi, e nel 2010 lambì l'Europa, economisti e governanti si ritrovarono del tutto impreparati, sorpassati, non diversamente dal comunismo reale travolto dai movimenti nell'89.

È il dramma che fa da sfondo alle tante invettive che prorompono nella campagna elettorale: gli attacchi dei centristi a Niki Vendola e alla Cgil in primis, ma anche al radicalismo della lista Ingroia, a certe collere sociali del Movimento 5 stelle, non sono una novità nell'Italia dell'ultimo quarto di secolo. Sono la versione meno rozza della retorica anticomunista che favorì l'irresistibile ascesa di Berlusconi, poco dopo la fine dell'Urss, e ancora lo favorisce. Il nemico andava artificiosamente tenuto in vita, o rimodellato, affinché il malaugurio di Arbatov non s'inverasse. Se la crisi economica è una guerra, perché privarsi di avversari così comodi, e provvidenzialmente disuniti? Quando Vendola dice a Monti che occorrerà accordarsi sul programma, nel caso in cui la sinistra governasse col centro, il presidente del Consiglio alza stupefatto gli occhi e replica: "Ma stiamo scherzando?", quasi un impudente eretico avesse cercato di piazzare il suo Vangelo gnostico nel canone biblico. Anche i difensori di Keynes sono additati al disprezzo: non sanno, costoro, che la guerra l'hanno persa anch'essi, nelle accademie e dappertutto?

In realtà non è affatto vero che l'hanno persa, e che lo spettro combattuto da Keynes sia finito in chiusi cassetti. Quando in Europa riaffiora la questione sociale  -  la povertà, la disoccupazione di massa  -  non puoi liquidarla come fosse una teoria defunta. È una questione terribilmente moderna, purtroppo. La ricetta comunista è fallita, ma il capitalismo sta messo abbastanza male (non quello della guerra fredda: quello decerebrato e svuotato dalla fine della guerra fredda). Non è rovinato come il comunismo sovietico, ma di scacco si tratta pur sempre.

È un fallimento non riuscire ad ascoltare e integrare le sinistre che in tantissime forme (anche limitandosi a combattere illegalità e corruzione politica) segnalano il ritorno non di una dottrina ma di un ben tangibile impoverimento. Prodi aveva visto giusto quando scommise sulla loro responsabilizzazione, e li immise nel governo. Fu abbattuto dalla propaganda televisiva di Berlusconi, ma la sua domanda non perde valore: come fronteggiare le crisi se non si coinvolge il malcontento, compreso quello morale? Ancor più oggi, nella recessione europea che perdura: difficile sormontarla senza il rispetto, e se possibile il consenso, dei nuovi dannati della terra. Forse abbiamo un'idea falsa delle modernità. Moderno non è chi sbandiera un'idea d'avanguardia. È, molto semplicemente, la storia che ci è contemporanea: che succede nei modi del tempo presente. Se la questione sociale ricompare, questa è modernità e moderni tornano a essere il sindacalismo, la socialdemocrazia, che per antico mestiere tentano di drizzare le storture capitaliste  -  con il welfare, la protezione dei più deboli. Sono correzioni, queste sì riformatrici, che non hanno distrutto, ma vivificato e potenziato il capitalismo. È la più moderna delle risposte, oggi come nel dopoguerra quando le democrazie del continente si unirono.

Non a caso viene dal più forte sindacato d'Europa, il Dgb tedesco, una delle più innovative proposte anti-crisi: un piano Marshall per l'Europa, gestito dall'Unione, simile al New Deal di Roosevelt negli anni '30. Dicono che i vecchi rimedi keynesiani  -  welfare, cura del bene pubblico  -  accrescono l'irresponsabilità individuale e degli Stati, assuefacendoli all'assistenza. Paventato è l'azzardo morale: bestia nera per chi oggi esige duro rigore. L'economista Albert Hirschman ha spiegato come le retoriche reazionarie abbiano tentato, dal '700-800, di bloccare ogni progresso civile o sociale (Retoriche dell'intransigenza, Il Mulino). Fra gli argomenti prediletti ve ne sono due, che nonostante le smentite restano attualissimi: la tesi della perversità, e della messa a repentaglio. Ogni passo avanti (suffragio universale, welfare, diritti individuali) perfidamente produce regresso, o mette a rischio conquiste precedenti. "Questo ucciderà quello", così Victor Hugo narra l'avvento del libro stampato che uccise le cattedrali. Oggi si direbbe: welfare o redditi minimi garantiti creano irresponsabilità. Quanto ai matrimoni gay, è la cattedrale dell'unione uomo-donna a soccombere, chissà perché.

Non è scritto da nessuna parte che la storia vada fatalmente in tale direzione. In astratto magari sì, ma se smettiamo di dissertare di "capitale umano" e parliamo di persone, forse l'azzardo morale diventa una scommessa vincente, come vincente dimostrò di essere nei secoli passati.


fonte: http://www.repubblica.it/politica/2013/02/06/news/spinelli_keynes-52040796/?ref=HREA-1
 
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venerdì 1 febbraio 2013

I carri armati contro la rivoluzione (civile)

Ormai abbiamo capito con chiarezza chi e' il nemico da abbattere in questa campagna elettorale, Ingroia e la sua coalizione di partiti di sinistra. Il perche' e' molto chiaro, sono compagni che sbagliano, anzi, fanno "oggettivamente", come si diceva una volta, il gioco del nemico.
E allora spariamogli addosso, manco fosse la primavera di Praga. Repubblica dedica un articolo un giorno si e l'altro pure ad attaccare i vari candidati. Prima un medico comunista indagato non certo per malaffare (semplicemente una vicenda che vede coinvolti 14 malati e gli effetti delle staminali), poi un sindaco del napoletano messo insieme, nello stesso articolo, all'imputato per camorra Cosentino. Quello che insieme al PD sosteneva il governo Monti, si vede che allora la camorra faceva meno schifo. Soprattutto quando non c'entra nulla con il personaggio in questione che ha idee sul condono edilizio non comunque rispecchiate dalla posizione ufficiale ne' del suo partito (IdV) ne' della coalizione. Bel giornalismo.
Migliorato solo dal titolo su Ingroia che attacca la Boccassini quando e' avvenuto l'esatto contrario, con la magistrata milanese entrata in tackle sciovolato da esplusione contro il leader di RC. Parole piu' che sgradevoli le sue, ma che diventi lei quella attaccata rasenta davvero il ridicolo. E i cannoni li punta anche l'ex eletta PD Lilly Gruber che intitola una puntata del suo improbabile talk-show "la sinistra che fa vincere la destra".
E non basta: la settimana scorsa la CGIL alla sua conferenza programmatica ha invitato solo Vendola e Bersani, escludendo il resto della sinistra. Nonostante quella sinistra fosse al suo fianco quando Camusso&C scioperavano contro la riforma Fornero votata dal PD.

Sarebbe bello se Repubblica facesse le stesse pulci al PD, cosa che invece non avviene. O se i magistrati di area PD avessero lo stesso ribrezzo che nutrono per i magistrati entrati in politica anche per il procuratore Grasso. O se i sindacati invece di fare collateralismo dessero massima voce ai bisogni dei lavoratori, e non dei loro leader. Non sia mai.
In fondo siamo nell'Italia del voto utile, anche se utile non si sa a chi. Voti Vendola e ti ritrovi Monti. Senti la CGIL parlare di lavoro e poi hai il PD contro il referendum sull'articolo 18. Mentre in RC c'e' chi e' a favore del condono, nel PD il segretario e' contro la patrimoniale e a favore del fiscal compact. La trave che hanno negli occhi deve averli davvero acciecati.....

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giovedì 20 dicembre 2012

Verso la fine della Repubblica Americana?

Proponiamo oggi un interessante articolo da Project Syndicate che traccia un parallelo tra la decadenza della Repubblica Romana prima della sua trasformazione in Impero, e processi storici simili che stanno accadendo negli Stati Uniti. L'autore, Steven Strauss, è stato Managing Director a New York City Economic Development Corporation (NYCEDC) e lavorato per la McKinsey, quindi ha uno sguardo non accademico, ma certo da persona informata dei fatti. A prescindere da qualche forzatura storica, l'articolo si inserisce con autorità nel presente dibattito sulla trasformazione della democrazia liberale in oligarchia - cosa che in America sembra sempre più visibile ma pare semplicemente anticipare un processo globale che sta travolgendo anche l'Europa.

Is America's Republic Ending?


di Steven Strauss

Eight Parallels Between the Collapse of Rome's Republic and Contemporary America
"History repeats itself, first as tragedy, second as farce."
-Karl Marx

Lawrence Lessig's Republic Lost documents the corrosive effect of money on our political process. Lessig persuasively makes the case that we are witnessing the loss of our republican form of government, as politicians increasingly represent those who fund their campaigns, rather than our citizens.
Anthony Everitt's Rise of Rome is fascinating history and a great read. It tells the story of ancient Rome, from its founding (circa 750 BCE) to the fall of the Roman Republic (circa 45 BCE).
When read together, striking parallels emerge -- between our failings and the failings that destroyed the Roman Republic. As with Rome just before the Republic's fall, America has seen:
1 -- Staggering Increase in the Cost of Elections, with Dubious Campaign Funding Sources: Our 2012 election reportedly cost $3 billion. All of it was raised from private sources - often creating the appearance, or the reality, that our leaders are beholden to special interest groups. During the late Roman Republic, elections became staggeringly expensive, with equally deplorable results. Caesar reportedly borrowed so heavily for one political campaign, he feared he would be ruined, if not elected.
2 -- Politics as the Road to Personal Wealth: During the late Roman Republic period, one of the main roads to wealth was holding public office, and exploiting such positions to accumulate personal wealth. As Lessig notes: Congressman, Senators and their staffs leverage their government service to move to private sector positions - that pay three to ten times their government compensation. Given this financial arrangement, "Their focus is therefore not so much on the people who sent them to Washington. Their focus is instead on those who will make them rich." (Republic Lost)
3 -- Continuous War: A national state of security arises, distracting attention from domestic challenges with foreign wars. Similar to the late Roman Republic, the US - for the past 100 years -- has either been fighting a war, recovering from a war, or preparing for a new war: WW I (1917-18), WW II (1941-1945), Cold War (1947-1991), Korean War (1950-1953), Vietnam (1953-1975), Gulf War (1990-1991), Afghanistan (2001-ongoing), and Iraq (2003-2011). And, this list is far from complete.
4 -- Foreign Powers Lavish Money/Attention on the Republic's Leaders: Foreign wars lead to growing influence, by foreign powers and interests, on the Republic's political leaders -- true for Rome and true for us. In the past century, foreign embassies, agents and lobbyists have proliferated in our nation's capital. As one specific example: A foreign businessman donated $100 million to Bill Clinton's various activities. Clinton "opened doors" for him, and sometimes acted in ways contrary to stated American interests and foreign policy.
5 -- Profits Made Overseas Shape the Republic's Internal Policies: As the fortunes of Rome's aristocracy increasingly derived from foreign lands, Roman policy was shaped to facilitate these fortunes. American billionaires and corporations increasingly influence our elections. In many cases, they are only nominally American - with interests not aligned with those of the American public. For example, Fox News is part of international media group News Corp., with over $30 billion in revenues worldwide. Is Fox News' jingoism a product of News Corp.'s non-U.S. interests?
6 -- Collapse of the Middle Class: In the period just before the Roman Republic's fall, the Roman middle class was crushed -- destroyed by cheap overseas slave labor. In our own day, we've witnessed rising income inequality, a stagnating middle class, and the loss of American jobs to overseas workers who are paid less and have fewer rights.
7 -- Gerrymandering: Rome's late Republic used various methods to reduce the power of common citizens. The GOP has so effectively gerrymandered Congressional districts that, even though House Republican candidates received only about 48 percent of the popular vote in the 2012 election -- they ended up with the majority (53 percent) of the seats.
8 -- Loss of the Spirit of Compromise: The Roman Republic, like ours, relied on a system of checks and balances. Compromise is needed for this type of system to function. In the end, the Roman Republic lost that spirit of compromise, with politics increasingly polarized between Optimates (the rich, entrenched elites) and Populares (the common people). Sound familiar? Compromise is in noticeably short supply in our own time also. For example, "There were more filibusters between 2009 and 2010 than there were in the 1950s, 1960s and 1970s combined."
As Benjamin Franklin observed, we have a Republic -- but only if we can keep it.

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http://www.project-syndicate.org/blog/is-america-s-republic-ending#KcrwrWLJJ7pWXyal.99 


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