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sabato 1 dicembre 2012

Perchè Bersani

di Nicola Melloni
 
 
 



L'incipit è per forza di cose uguale a quello in cui Bedana sostiene Renzi. Bersani non è il mio candidato, non voterò il PD alle elezioni e su questo blog abbiamo spiegato mille volte perchè: fiscal compact, pareggio di bilancio in Costituzione (un vulnus terribile alla nostra democrazia), riforma del lavoro, delle pensioni.
E potrei proseguire all'indietro passando per l'esperienza terribile di Veltroni, e, ancora prima, dei DS in cui Bersani è stato indubbio protagonista di una stagione che, guardando fuori dalla finestra, non si può definire altro che fallimentare. Ed allora perchè Bersani?
Certo Bersani le sue occasioni - seppur costretto da altri, ma in politica questo è normale - le ha avute, e non ci ha convinto. Ma oltre che guardare al passato bisognerà pur guardare al futuro. E per farlo ci servono sì le biografie dei 2 sfidanti, ma anche e soprattutto quello che dichiarano di voler fare. Bersani ha firmato il fiscal compact? Si ma ora dice che vuole anche politiche di sviluppo. Renzi non lo ha firmato, ma sostiene in tutto e per tutto una agenda liberista. Bersani ha contribuito a cancellare l'art.18? Si, ma a Renzi non basta, vuole andare avanti con l'agenda Ichino, altre martellate ai lavoratori. Bersani non si è opposto a Marchionne? Vero, ma Renzi lo ha invece sostenuto con entusiasmo e lo rivendica tuttora - il problema per il sindaco di Firenze non era il ricatto ai lavoratori ma il non aver esaudito le promesse.
Sulle spalle di Bersani aleggiano come avvoltoi spettri del passato, da Veltroni a D'Alema, a quella nomeklatura che ancora non si fà da parte. Ma Bersani ha contribuito a creare un gruppo dirigente giovane e con salde fondamenta socialdemocratiche, ad iniziare da Fassina. Ed al suo fianco è comunque schierata la CGIL che ha tenuto la schiena dritta davanti all'agenda Monti. Di fianco a Renzi ci sono volti nuovi, ma non certo rassicuranti: Serra con i soldi alle Cayman, Gori gran burattinaio televisivo, Zingales che si crede Milton Friedman in salsa italiana.
Mandare a casa un gruppo dirigente fallimentare e attaccato alla poltrona è sicuramente una battaglia politica meritevole, e di questo bisogna dare atto a Renzi. Ma sostituire faccie vecchie con programmi ancora più vecchi, e non solo vecchi ma proprio sbagliati e pericolosi per la nostra economia e per la nostra tenuta sociale sarebbe un errore. Non basta avere un programma. Bisogna avere un programma giusto. Se per mandare a casa D'Alema il prezzo che mi si chiede è affondare l'Italia, il gioco non vale la candela.
Anche se non voto PD e non voterò Bersani, preferisco l'Italia di domani governata da Bersani, perchè sarà un'Italia dove si guarderà comunque con più attenzione al mondo del lavoro. Non basta ma è certo molto meglio dell'alternativa.


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mercoledì 28 novembre 2012

Le primarie del meno peggio

E' andato abbastanza bene il primo turno delle primarie con una discreta affluenza - anche se in sostanziale calo rispetto alle ultime volte. Ma 3 milioni di persone che votano meritano rispetto ed è comunque un buon segnale che si faccia la fila per votare, per scegliere. Perché la democrazia, dopo tutto, è anche e soprattutto partecipazione. Occorrerebbe ricordarsene anche dopo le primarie, quando si tratterà di fare delle scelte non solo sui leader ma su quello che ci sarà da fare - e si comincerà a dire che i mercati e che l'Europa vogliono altro. Vedremo.
Ma il dato rilevante mi pare altro, e cioè la mancanza di entusiasmo per questo voto alle primarie. Ancora una volta, l'ennesima in questi ultimi 10 anni e rotti, si vota il meno peggio. Renzi di questa idea ne ha fatto una intera bandiera - "io sono quello che vi libererà della nomenklatura che tanti danni ha fatto all'Italia in questi anni". Ma molti dei votanti per Bersani sono su una linea simile - non vogliono Renzi perché non pensano sia di sinistra, o che addirittura sia di destra. E così ci troviamo nella logica del meno peggio: in pochi ti spiegano perchè hanno votato Renzi o Bersani mentre sono in molti a darti  una spiegazione al contrario - ho votato x perché non voglio y.
Questo rancore, questa paura dell'altro è però un segnale pessimo per la democrazia. Per anni siamo stati costretti a votare qualsiasi cosa passasse il convento per evitare la vittoria di Berlusconi, da Rutelli alle alleanze con Mastella, e via dicendo. E proprio questo meno peggio ci ha portato al tracollo. E questo non è certo successo solo in Italia, ma in tutto il mondo.
Purtroppo queste primarie stanno ripercorrendo la stessa via, e non è certo la maniera migliore per iniziare la cosiddetta Terza Repubblica.

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giovedì 18 ottobre 2012

Per cosa si combatte nel PD?

Onestamente mi sfugge qualche cosa nel dibattito che porta alle primarie. Ieri D'Alema ha calato il carico: se vince Bersani non mi ricandido, ma se vince Renzi è scontro frontale. Addirittura non si esclude la scissione. Perbacco! Ma non si era firmata una carta d'intenti solo poche settimane fa?
Da dove nasce questo scontro politico, e come cambieranno gli scenari politici se vince uno o l'altro contendente? O addirittura se vince Vendola?
Renzi appare come il candidato più moderato, che a parole si dichiara più lontano dalla sinistra tradizionale e dalla Fiom, si dice in sostanziale continuità col governo Monti ma non esita a rottamare anche il Professore - ha spento l'incendio, ora tocca a noi.
Bersani ritiene Monti una riserva alla stregua di quello che fu Ciampi nel 96 (Ministro del Tesoro senza essere eletto) e già questo dovrebbe far scorrere qualche brivido sulla schiena di quelli che invece vorrebbero superare l'agenda Monti, a cominciare dal prode Fassina, le cui analisi sulla crisi sono tutte sostanzialmente condivisibili ma che milita in un partito che sembra pensarla assai diversamente, almeno nella prassi. 
In entrambi i casi, infatti, dietro al candidato premier esiste comunque un PD che in questi anni ha imbracciato la linea dell'austerity, ha votato il fiscal compact e ha messo il pareggio di bilancio in Costituzione. Un partito che si appresta a votare l'innalzamento dell'IVA e il taglio dei sussidi per l'accompagnamento dei malati. 
Vendola, gli và dato atto, queste cose non le ha fatte, anzi si è costantemente opposto a Monti ed alla UE. Eppure si candida a guidare una coalizione che al momento non sembra voler uscire dal solco tracciato dal presente governo. Certo la carta d'intenti parla di lavoro ed uguaglianza, ma in modo generico. Che il lavoro sia importante lo dicono, ad esempio, sia Romney che Obama, due un po' più diversi di Renzi e Bersani. Sottolinearlo in un programma elettorale rischia di essere semplicemente uno specchietto per le allodole. 
Ed allora se i programmi sono ancora da definire nella migliore delle ipotesi o, più probabilmente, sostanzialmente simili, perché questa guerra all'ultimo sangue? Queste primarie sembrano più che altro una guerra sulle persone e sul potere che si crea intorno a certi nomi. Un elemento così vitale che rischia addirittura di spaccare il PD. Che non dà certo una bella rappresentazione di sé stesso, ma che ci fornisce un interessante spaccato della realtà italiana: le battagli si fanno sui nomi e sugli organigrammi, non sulle idee e sulle scelte politiche.

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