Ormai il PD sembra un romanzo scritto da Calvino, il castello dei destini (personali) incrociati. In realtà forse no, Calvino non avrebbe scritto una storia di così bassa lega. L'attacco di Renzi a Bersani di domenica sera è quasi indecente: al TG5 a sparare bastonate tutte contro il suo partito, alla faccia del gioco di squadra. Ma se non gli piace niente e nessuno, perchè non fa qualcos'altro? Mistero.
Accusa Bersani di pensare solo a se stesso, ma il sindaco di Firenze non sembra fare nulla di diverso. Sgomita, si fa vedere, teme di rimanere fuori dai giochi.
D'altra parte, però, Bersani, ha portato avanti, nell'ultimo mese, una azione politica debolissima e quindi facilmente tacciabile di immobilismo. Prima un tentativo, legittimo, per formare il governo. Ma poi? Ci si è arenati immediatamente. Ha un bel da dire, Bersani, davanti alle critiche di Scalfari e altri che il suo nome e il suo ruolo non sono un problema, che si può far da parte subito. Parole, ma fatti? Davanti all'impossibilità di formare un governo PD-SEL bisognava proporre qualcos'altro. Se non vuoi andare con Berlusconi - e per fortuna - allora devi provare a trovare un equilibrio alternativo ed avanzato con le altre forze politiche. In fondo, se guardiamo alle Quirinarie del M5S, di 10 candidati oltre metà hanno una storia di sinistra, e altri sono comunque stati in area PD, uno addirittura è Romano Prodi. Il messaggio, per chi lo vuole leggere, è chiarissimo: il terreno per un incontro su una personalità condivisa c'è tutto. Al Quirinale, e a Palazzo Chigi. Anche contro Berlusconi, che problema c'è? D'altronde un candidato contro il M5S non sarebbe certo più rappresentativo!
Ecco, Bersani e l'intero PD avrebbero dovuto dirigersi fortemente in quella direzione, la ricerca di un nome e di una squadra politicamente partigiani ma staccati dalla politica di partito, e su quella base provare un nuovo incontro con Grillo. Nessuna garanzia di successo, ma almeno ci si prova. Raccogliendo due piccioni con una fava: da una parte si vanno a vedere le contraddizioni del M5S che ha avuto vita facile a dire no ad un governo del PD ma avrebbe ben più difficoltà a dire un no a prescindere a personalità che loro stessi stimano; e dall'altra parte scovare i nemici interni, quelli che vogliono il patto con Berlusconi, quelli che cercano di frenare Bersani, quelli che puntano su Renzi.
Insomma, si doveva fare politica.
Ed invece siamo alle liti da pollaio.
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lunedì 15 aprile 2013
domenica 7 aprile 2013
Il PD allo sbando
E i nodi finalmente arrivarono al pettine. Da una parte Renzi che non vuole il governo Bersani che rischierebbe di farlo fuori politicamente. Dall'altra Franceschini che vuole il dialogo con Berlusconi. E poi Bersani stesso incapace di uscire dall'arrocco, "il mio governo o nulla". In mezzo il dialogo con Berlusconi sul Quirinale, i no di Grillo, le alchimie di Napolitano che le tenta tutte per rimettere in vita la grande coalizione. In un panorama di incapacità clamorosa di proporre scelte politiche innovative.
Tutti ora si concentrano sulla legge elettorale, come se quella fosse stata l'origine dei mali e del parlamento ingovernabile, quando invece rappresenta abbastanza fedelmente la realtà di un paese diviso in tre in cui due forze politiche devono mettersi d'accordo per governare. Il punto, naturalmente è come farlo. Dopo il rifiuto di Grillo rimane solo Berlusconi? E si può andare al governo con chi si è descritto per anni come il demonio? O più semplicemente, ci si può andare con chi ha predicato l'evasione fiscale, fatto votare al parlamento che Ruby fosse la nipote di Mubarak e che è tuttora portatore di un enorme conflitto d'interessi (a parole da sempre la prima legge da fare per il centro-sinistra...)? Beh, la storia dice che si può, visto che è già successo. Ma non è certo auspicabile.
Il PD ha pagato a caro prezzo la scelta suicida di sostenere Monti insieme a Berlusconi. Ora Franceschini e pure il capogruppo Speranza (ma per chi??) propongono la stessa minestra riscaldata, a cui aggiungono un po' di condimento per farla sembrare diversa. Ma è sempre orribile. Lette tra le righe, queste interviste dicono circa: dialogo sul Quirinale e poi varo di un governo PD che però vada oltre il confine del centrosinistra, cioè che viva sul supporto di Berlusconi. Cerchiamo di salvare la faccia non mettendo i ministri del PDL, ma l'alleanza sarebbe nei fatti. E i fatti sarebbero poi la successiva legislazione, in cui possiamo solo immaginare che il conflitto d'interessi, la redistribuzione del reddito, la tutela del lavoro, il rilancio della scuola pubblica, la scure sulle spesi inutili (dagli F35 al TAV) non sarebbero certo parte dell'agenda.
Una scelta folle e suicida, che lascerebbe l'Italia nel pantano, squalificherebbe definitivamente il PD e forse finirebbe per spaccarlo e riconsegnerebbe di fatto il Paese a quei poteri e a quelle politiche che lo hanno caratterizzato per 20 anni che hanno prodotto il bel risultato che abbiamo ora davanti a noi.
E si dirà, ma non ci sono altre possibilità. Davvero? Strano perché la strada maestra, in realtà, non è mai stata tentata. Il PD è andato al Quirinale e poi a parlare con Grilo sostenendo in buona sostanza un monocolore Bersani - ed il fatto che Grillo abbia detto no, in realtà, è normale (anche se molto meno lo è il rifiuto a prescindere di discutere del programma). Non si capisce perchè il M5S avrebbe dovuto sostenere un governo fatto dai suoi avversari. Ben diverso, come dice, solo ora, con grave ritardo, Rosy Bindi, sarebbe stata una proposta politica di alternativa, e cioè un governo progressista di personalità di prestigio e non di provenienza PD che avrebbero potuto fare da ponte tra il partito di Bersani e quello di Grillo. I nomi sono i soliti, da Rodotà a Zagrebelsky. Che con un programma innovativo avrebbero messo il M5S davanti alle sue responsabilità e sarebbero andati a vedere le carte di Grillo. Che ha un gruppo parlamentare già in fermento sulla possibilità di sostenere il PD, figuriamoci se l'alternativa era sostenere un governo di cambiamento slegato dai partiti!
Non si sa perchè il PD non abbia deciso di intraprendere tale percorso virtuoso. Forse troppa smania di governo e di potere. O forse paura del cambiamento vero che un governo di questo genere avrebbe portato - rottura forte sulla laicità, sulla scuola, sui beni comuni, cioè tutti quei temi che l'elettorato di sinistra ha sempre supportato ma che il gruppo dirigente del PD è stato per anni assai restio a cavalcare, se non a parole. Ed ora, invece del cambiamento, rischiamo di ritrovarci con Berlusconi.
Complimenti all'ennesima oscena prova di sè data dal PD.
Tutti ora si concentrano sulla legge elettorale, come se quella fosse stata l'origine dei mali e del parlamento ingovernabile, quando invece rappresenta abbastanza fedelmente la realtà di un paese diviso in tre in cui due forze politiche devono mettersi d'accordo per governare. Il punto, naturalmente è come farlo. Dopo il rifiuto di Grillo rimane solo Berlusconi? E si può andare al governo con chi si è descritto per anni come il demonio? O più semplicemente, ci si può andare con chi ha predicato l'evasione fiscale, fatto votare al parlamento che Ruby fosse la nipote di Mubarak e che è tuttora portatore di un enorme conflitto d'interessi (a parole da sempre la prima legge da fare per il centro-sinistra...)? Beh, la storia dice che si può, visto che è già successo. Ma non è certo auspicabile.
Il PD ha pagato a caro prezzo la scelta suicida di sostenere Monti insieme a Berlusconi. Ora Franceschini e pure il capogruppo Speranza (ma per chi??) propongono la stessa minestra riscaldata, a cui aggiungono un po' di condimento per farla sembrare diversa. Ma è sempre orribile. Lette tra le righe, queste interviste dicono circa: dialogo sul Quirinale e poi varo di un governo PD che però vada oltre il confine del centrosinistra, cioè che viva sul supporto di Berlusconi. Cerchiamo di salvare la faccia non mettendo i ministri del PDL, ma l'alleanza sarebbe nei fatti. E i fatti sarebbero poi la successiva legislazione, in cui possiamo solo immaginare che il conflitto d'interessi, la redistribuzione del reddito, la tutela del lavoro, il rilancio della scuola pubblica, la scure sulle spesi inutili (dagli F35 al TAV) non sarebbero certo parte dell'agenda.
Una scelta folle e suicida, che lascerebbe l'Italia nel pantano, squalificherebbe definitivamente il PD e forse finirebbe per spaccarlo e riconsegnerebbe di fatto il Paese a quei poteri e a quelle politiche che lo hanno caratterizzato per 20 anni che hanno prodotto il bel risultato che abbiamo ora davanti a noi.
E si dirà, ma non ci sono altre possibilità. Davvero? Strano perché la strada maestra, in realtà, non è mai stata tentata. Il PD è andato al Quirinale e poi a parlare con Grilo sostenendo in buona sostanza un monocolore Bersani - ed il fatto che Grillo abbia detto no, in realtà, è normale (anche se molto meno lo è il rifiuto a prescindere di discutere del programma). Non si capisce perchè il M5S avrebbe dovuto sostenere un governo fatto dai suoi avversari. Ben diverso, come dice, solo ora, con grave ritardo, Rosy Bindi, sarebbe stata una proposta politica di alternativa, e cioè un governo progressista di personalità di prestigio e non di provenienza PD che avrebbero potuto fare da ponte tra il partito di Bersani e quello di Grillo. I nomi sono i soliti, da Rodotà a Zagrebelsky. Che con un programma innovativo avrebbero messo il M5S davanti alle sue responsabilità e sarebbero andati a vedere le carte di Grillo. Che ha un gruppo parlamentare già in fermento sulla possibilità di sostenere il PD, figuriamoci se l'alternativa era sostenere un governo di cambiamento slegato dai partiti!
Non si sa perchè il PD non abbia deciso di intraprendere tale percorso virtuoso. Forse troppa smania di governo e di potere. O forse paura del cambiamento vero che un governo di questo genere avrebbe portato - rottura forte sulla laicità, sulla scuola, sui beni comuni, cioè tutti quei temi che l'elettorato di sinistra ha sempre supportato ma che il gruppo dirigente del PD è stato per anni assai restio a cavalcare, se non a parole. Ed ora, invece del cambiamento, rischiamo di ritrovarci con Berlusconi.
Complimenti all'ennesima oscena prova di sè data dal PD.
lunedì 11 marzo 2013
In difesa del finanziamento pubblico ai partiti
Adesso anche Renzi, dopo Berlusconi, salta sul cavallo di battaglia del M5S e tenta di dominarlo, o ancora meglio, copiarlo. Stop al finanziamento pubblico ai partiti, una sfida lanciata quasi più a Bersani che a Grillo.
Una sfida facile facile, dal sapore populista. In fondo è quello che la gente vuole: i partiti rubano, togliamo loro i soldi, che vengono dalle nostre tasche per mantenere un gruppo di parassiti.
Ora, sul fatto che il malcostume politico in Italia è dilagante non ci sono dubbi. Ed è più che legittimo che questo renda davvero odiosa l'idea che al Parlamento dove si prendono 10 mila euro al mese si mangi con 2 euro. Altrettanto inaccettabile è che coi soldi dei contribuenti si organizzino festini e mangiate di ostriche.
Ma il finanziamento pubblico ai partiti è ben altra cosa. E' uno dei fondamenti della democrazia: soldi pubblici per persone e associazioni che si interessano della cosa pubblica. Per non lasciarla nelle mani di chi questi soldi non ha bisogno. Per esempio di un miliardario sceso in politica con tutte le sue aziende sulle spalle e una potenza di fuoco - mediatico, di risorse, di spesa - mai vista prima in Europa. O anche di un comico più che benestante con una società di gestione web e marketing alle spalle.
Pure senza doverci per forza concentrare sul caso italiano - che è comunque ai limiti dell'emergenza democratica - basta dare una occhiata al di là dell'oceano per vedere quali siano i drammi di una politica "privatizzata". Vincono i candidati che riescono a raccogliere più fondi privati - e questa capacità, in media, non è il risultato della popolarità del personaggio in questione e nemmeno della giustezza delle sue proposte politiche. La maniera più semplice ed efficace per raccogliere denaro - e quindi, appunto, per vincere le elezioni - è farsi promotore di politiche ed idee pro-ricchi e soprattutto pro-corporation, cioè andare a chiedere i soldi a chi ce li ha davvero.
Il risultato è una politica di marca oligarchica in cui davvero sinistra e destra non esistono più come dice Grillo - tutte e due gareggiano per fare gli interessi dei padroni.
Ecco, il furbetto di Firenze ed i suoi seguaci tra i democrats dovrebbero forse pensare a questo prima di seguire Grillo&C. sul pericoloso crinale della demagogia spacca-tutto. Più moralità in politica è la base di partenza. Ma il punto di arrivo non può essere la privatizzazione. A meno che non si pensi davvero di buttare via il bambino-democrazia insieme all'acqua sporca dei privilegi.
Una sfida facile facile, dal sapore populista. In fondo è quello che la gente vuole: i partiti rubano, togliamo loro i soldi, che vengono dalle nostre tasche per mantenere un gruppo di parassiti.
Ora, sul fatto che il malcostume politico in Italia è dilagante non ci sono dubbi. Ed è più che legittimo che questo renda davvero odiosa l'idea che al Parlamento dove si prendono 10 mila euro al mese si mangi con 2 euro. Altrettanto inaccettabile è che coi soldi dei contribuenti si organizzino festini e mangiate di ostriche.
Ma il finanziamento pubblico ai partiti è ben altra cosa. E' uno dei fondamenti della democrazia: soldi pubblici per persone e associazioni che si interessano della cosa pubblica. Per non lasciarla nelle mani di chi questi soldi non ha bisogno. Per esempio di un miliardario sceso in politica con tutte le sue aziende sulle spalle e una potenza di fuoco - mediatico, di risorse, di spesa - mai vista prima in Europa. O anche di un comico più che benestante con una società di gestione web e marketing alle spalle.
Pure senza doverci per forza concentrare sul caso italiano - che è comunque ai limiti dell'emergenza democratica - basta dare una occhiata al di là dell'oceano per vedere quali siano i drammi di una politica "privatizzata". Vincono i candidati che riescono a raccogliere più fondi privati - e questa capacità, in media, non è il risultato della popolarità del personaggio in questione e nemmeno della giustezza delle sue proposte politiche. La maniera più semplice ed efficace per raccogliere denaro - e quindi, appunto, per vincere le elezioni - è farsi promotore di politiche ed idee pro-ricchi e soprattutto pro-corporation, cioè andare a chiedere i soldi a chi ce li ha davvero.
Il risultato è una politica di marca oligarchica in cui davvero sinistra e destra non esistono più come dice Grillo - tutte e due gareggiano per fare gli interessi dei padroni.
Ecco, il furbetto di Firenze ed i suoi seguaci tra i democrats dovrebbero forse pensare a questo prima di seguire Grillo&C. sul pericoloso crinale della demagogia spacca-tutto. Più moralità in politica è la base di partenza. Ma il punto di arrivo non può essere la privatizzazione. A meno che non si pensi davvero di buttare via il bambino-democrazia insieme all'acqua sporca dei privilegi.
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mercoledì 28 novembre 2012
Le primarie del meno peggio
E' andato abbastanza bene il primo turno delle primarie con una discreta affluenza - anche se in sostanziale calo rispetto alle ultime volte. Ma 3 milioni di persone che votano meritano rispetto ed è comunque un buon segnale che si faccia la fila per votare, per scegliere. Perché la democrazia, dopo tutto, è anche e soprattutto partecipazione. Occorrerebbe ricordarsene anche dopo le primarie, quando si tratterà di fare delle scelte non solo sui leader ma su quello che ci sarà da fare - e si comincerà a dire che i mercati e che l'Europa vogliono altro. Vedremo.
Ma il dato rilevante mi pare altro, e cioè la mancanza di entusiasmo per questo voto alle primarie. Ancora una volta, l'ennesima in questi ultimi 10 anni e rotti, si vota il meno peggio. Renzi di questa idea ne ha fatto una intera bandiera - "io sono quello che vi libererà della nomenklatura che tanti danni ha fatto all'Italia in questi anni". Ma molti dei votanti per Bersani sono su una linea simile - non vogliono Renzi perché non pensano sia di sinistra, o che addirittura sia di destra. E così ci troviamo nella logica del meno peggio: in pochi ti spiegano perchè hanno votato Renzi o Bersani mentre sono in molti a darti una spiegazione al contrario - ho votato x perché non voglio y.
Questo rancore, questa paura dell'altro è però un segnale pessimo per la democrazia. Per anni siamo stati costretti a votare qualsiasi cosa passasse il convento per evitare la vittoria di Berlusconi, da Rutelli alle alleanze con Mastella, e via dicendo. E proprio questo meno peggio ci ha portato al tracollo. E questo non è certo successo solo in Italia, ma in tutto il mondo.
Purtroppo queste primarie stanno ripercorrendo la stessa via, e non è certo la maniera migliore per iniziare la cosiddetta Terza Repubblica.
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Ma il dato rilevante mi pare altro, e cioè la mancanza di entusiasmo per questo voto alle primarie. Ancora una volta, l'ennesima in questi ultimi 10 anni e rotti, si vota il meno peggio. Renzi di questa idea ne ha fatto una intera bandiera - "io sono quello che vi libererà della nomenklatura che tanti danni ha fatto all'Italia in questi anni". Ma molti dei votanti per Bersani sono su una linea simile - non vogliono Renzi perché non pensano sia di sinistra, o che addirittura sia di destra. E così ci troviamo nella logica del meno peggio: in pochi ti spiegano perchè hanno votato Renzi o Bersani mentre sono in molti a darti una spiegazione al contrario - ho votato x perché non voglio y.
Questo rancore, questa paura dell'altro è però un segnale pessimo per la democrazia. Per anni siamo stati costretti a votare qualsiasi cosa passasse il convento per evitare la vittoria di Berlusconi, da Rutelli alle alleanze con Mastella, e via dicendo. E proprio questo meno peggio ci ha portato al tracollo. E questo non è certo successo solo in Italia, ma in tutto il mondo.
Purtroppo queste primarie stanno ripercorrendo la stessa via, e non è certo la maniera migliore per iniziare la cosiddetta Terza Repubblica.
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