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martedì 28 maggio 2013

A Bologna il PD dà i numeri

A Bologna si è votato per il referendum sui soldi alle scuole private. Un netto successo di coloro che li vogliono togliere (quasi il 60%) ma l'affluenza è stata bassa, poco sotto il 30%. Ed allora, tutti a parlare di affluenza bassa, bassissima. Addirittura di soldi buttati via per il referendum che non ha avuto seguito. Ma è andata davvero così?
Certo l'affluenza non è stata lusinghiera, ma le cose andrebbero messe nel giusto contesto. Per prima cosa guardiamo le forze in campo. Per l'opzione B, quella perdente, sono scesi in campo il Sindaco, il PD, il PDL, il Governo, la CEI, le associazioni industriali e commerciali, la CISL. Eppure non sono riusciti a motivare il loro blocco sociale di riferimento, che è rimasto a casa. Dall'altra parte c'erano il comitato referendario, SEL, Rifondazione, la FIOM. Il risultato dell'A (il 16% circa dei voti assoluti, tra il 22 ed il 25% se traslati sulle elezioni amministrative) va ben oltre la forza elettorale di quei soggetti. Dunque, se i numeri assoluti sono deludenti, lo sono quasi soltanto per il PD, il Sindaco e chi sosteneva che il modello Bologna funzionasse benissimo.
Per nascondere questo smacco, e per cercare di defraudare i referendari di una chiara vittoria, si tenta allora di concentrarsi sull'affluenza assoluta. Dimenticandosi però che a Bologna si votava per un referendum consultivo, con il Sindaco che aveva già detto a chiare lettere che se ne sarebbe comunque infischiato del risultato. In generale, poi, c'è una grande disaffezione per le tornate elettorali, giudicate a torto o ragioni inutili (e certo le parole del Sindaco Merola non migliorano la situazione). A Roma hanno votato a malapena il 50% degli aventi diritto, ma per il sindaco, una campagna che ha avuto una risonanza nazionale ben superiore alla consultazione bolognese. E nelle sedi del PD si canta vittoria per il risultato di Marino, pure con un crollo di voti rispetto a quelli presi da Rutelli (!!!!). Ma la partecipazione, si sa, conta solo quando si perde.
Ed infatti nel PD ci si dimentica che alle primarie - quelle che hanno mobilitato il popolo del centrosinistra, quello impegnato, quello attivo - a Bologna votarono 28 mila persone, 1/3 di quelle che hanno votato per il referendum. In entrambi i casi si tratta di partecipazione civica. In un caso è un successo, nell'altro un flop. Mah...
Ma la prova del nove arriva quando il segretario bolognese del PD sostiene che trattandosi solo di una piccola minoranza, il risultato non è significativo e dunque non vincola il Comune. Eppure a livello nazionale si è sostenuto che non si poteva non tenere conto del 22% di Berlusconi (che sul totale avente diritto, era circa il 16%...pensa un po', circa la % presa dai promotori del referendum!). E proprio su questa base si è cercato prima di votare Marini e si è poi scelto Napolitano e le larghe intese. A Roma, un 16% così importante da affondare 20 anni di pseudo-contrapposizione. A Bologna, un 16% che disturba l'oligarchia al comando.

domenica 26 maggio 2013

Il referendum di Bologna per una scuola di serie A

La fortuna è di essere bolognese, anche se emigrato. Così, preso un aereo, posso tornare per votare al referendum sui finanziamenti alle scuole paritarie. Una scelta che posso così sintetizzare: da una parte le ragioni della logica, del diritto, della Costituzione e pure del buon senso. Dall'altra una campagna scorretta, sguaiata, da anni 50. Il Comune invita a votare B come bambini come se i promotori del referendum volessero male ai bambini. Li vogliono lasciare in mezzo alla strada, dicono. E quando mai?
Il Comune finanzia ogni anno le scuole private paritarie con 1 milione di euro. 600 euro a bambino, contribuendo alla retta per chi decide (o è costretto) di andare nelle paritarie. Nel frattempo,  a inizio anno, 400 bambini sono rimasti esclusi da un posto al nido, poi ridotti con i salti mortali a 100. Col milione di euro si garantirebbero nella scuola pubblica 300 posti aggiuntivi, dunque non ci sarebbero più bambini a casa. Il Comune sostiene che se venissero però tolti i finanziamenti alla private ci sarebbero molti altri bambini impossibilitati ad andare all'asilo, non potendosi permettere il costo aggiuntivo. Non ci sono però dati che supportano tale tesi, la % di bambini nelle paritarie è rimasta immutata prima e dopo il finanziamento pubblico.
Non basta: le scuole paritaria, al 90% confessionali, già ricevono finanziamenti pubblici con l'8 per mille. Eppure vogliono ancora altri soldi per funzionare correttamente. Semplicemente sono scuole inefficienti, che vorrebbero dare libertà di scelta, che si mettono in concorrenza col pubblico e trasformano l'istruzione in un mercato. Ma sono incapaci di competere nel suddetto mercato, ciucciano la mammella pubblica perché non sono in grado di competere in maniera efficiente.
Sarà dunque un problema loro reperire risorse aggiuntive o migliorare il bilancio per attrarre altri bambini non ricchi - a meno che l'insegnamento confessionale non sia un diritto solo dei più abbienti.
Il sindaco di Bologna ed il PD tutto, con l'aiuto pure del Ministro della Pubblica Istruzione, accusano i referendari di fare una campagna ideologica, quando è ormai chiaro che si tratta di una battaglia in difesa della Costituzione e della Scuola Pubblica. Soprattutto, il Comune non sembra accorgersi che la B che invitano a votare, è la B di business, quello che gli istituti paritari fanno sulla testa dei bambini e dei genitori bolognesi. Propagano la loro fede, ma non a gratis. Fanno pagare le famiglie e pretendono che paghino anche i contribuenti.
Merola si è, un pò pateticamente rivolto a coloro che una volta erano bambini bolognesi e ora sono genitori affinchè votino per il sistema Bologna, quello che garantisce il diritto all'asilo. Si dimentica, ahimè di dire, che quando quei genitori andavano all'asilo non c'erano i finanziamenti alle scuole private (iniziati nel 95, in concomitanza con l'Ulivo, sarà un caso...). Eppure il diritto all'asilo era garantito meglio di adesso.
Si informi, Merola, prima di fare figuracce.

venerdì 12 aprile 2013

La scuola è meglio della merda

di Francesca Congiu

L’intervento di Francesca Coin in merito al referendum bolognese sui finanziamenti alla scuola
 mette in luce l’ennesimo paradosso legato alla questione dell’istruzione in Italia e l’uso strumentale di concetti come laicità e democrazia. Tale paradosso ricorda quello illustrato da Ellekappa con una vignetta sulla Chiesa e i diritti della persona: "La chiesa ha tutto il diritto di dire la sua. il problema è che vuole dire anche la nostra".
Poco male (cioè non sorprende) se PDL e Curia sono uniti nella crociata antidemocratica di considerare lecito un finanziamento alla scuola privata, ma trovo scandaloso che il PD bolognese continui a fraintendere i "fondamentali" della democrazia dimostrando di fare politica senza avere un'identità politica o - peggio - facendo proprie le ragioni e l'identità dell' "avversario". La scuola pubblica è battuta se la politica non la difende, perché l'acropoli è sempre più forte dell'agorà. Aggiungo, allo sconforto e alla rabbia che ingenera questa vicenda, la recente notizia del pagamento “a sorteggio” dei docenti precari di una scuola di Grosseto: questi, sottopagati, già vessati dalle intermittenze di un lavoro saltuario sono i nostri docenti, formati e professionalizzati dal "pubblico" e per il "pubblico", che lo Stato - con destra e sinistra complici nella cecità e nell'azione - continua ad umiliare e offendere. Il fatto è accaduto in Toscana, ma queste "fiere" sono aperte in tutta Italia.

Credo esista un progetto politico, ideologico, ben ordito, che cioè qualcuno o molti traggano un vantaggio nel tagliare il filo democratico di cui la scuola si fa portatrice e che si costruiscano teorie astruse e improponibili di “laicità” per giustificare la manomissione dei valori costituzionali, per mettere cioè all'angolo i saperi liberi e democratici, partendo da provvedimenti come la limitazione degli accessi e la scandalosa umiliazione del corpo docente.
E alla fine? Alla fine, dopo aver raso al suolo la credibilità, l'autorevolezza e l'imprescindibilità della scuola pubblica ci si limiterà a ripetersi la tautologia, buona per salvare la cattiva coscienza di chi è causa di questo male, che la scuola pubblica non vale niente, perché non vale niente, perché non vale niente ecc. ecc. Quando discuto di problemi di laicità, merito, democrazia scolastica mi viene spesso in mente una frase contenuta in “Lettera a una professoressa”. Il contesto è la scuola di Barbiana, quell’esperienza educativa che negli anni ’50 mise in luce le gravi ingiustizie sociali della scuola istituzionale, ancora arretrata sui temi dell’uguaglianza e della cura della persona. Questa frase viene  pronunciata da un giovane alunno in risposta ad un pedagogo, aria da progressista, cattedratico - uno di quelli che, per intenderci, oggi punterebbero l'indice contro le carenze del sistema scolastico pubblico, per poi mandare i propri figli a scuola privata. Lucio, l’alunno che ha trovato nella scuola un luogo di scambio, crescita, autonomia, lui con 36 mucche nella stalla, di fronte all'alternativa-zero, risponde al fine pedagogo come oggi in Italia risponderebbero studenti e professori insieme : "la scuola sarà sempre meglio della merda".

giovedì 4 aprile 2013

In difesa della scuola pubblica, a Bologna, in Italia


DI SEGUITO RIPETIAMO L'APPELLO PER LA DIFESA DELLA SCUOLA PUBBLICA, DAL SITO DI ART. 33. PER FIRMARE CLICKATE QUI!

A chi è disposto a battersi per la scuola pubblica.
A chi ritiene che le politiche di tagli alla scuola pubblica e finanziamento a quella privata tradiscano l’articolo 33 della Costituzione nel suo spirito autentico, là dove stabilisce che: “La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”.
A chi ritiene che solo una scuola aperta a tutti, laica, gratuita, inclusiva, moderna e di qualità possa impegnarsi a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (Art. 3).
A chi pensa che fra i banchi della scuola pubblica si gettino le basi per una cittadinanza consapevole e per il futuro del nostro paese.
Il 26 maggio a Bologna si terrà un referendum consultivo sul finanziamento comunale alle scuole paritarie private, grazie alla raccolta di tredicimila firme di cittadini e cittadine che hanno chiesto di potersi esprimere su questo tema.
La cittadinanza dovrà dare un voto di indirizzo per l’amministrazione su cosa sia meglio per garantire il diritto all’istruzione dei bambini e delle bambine: continuare a erogare un milione di euro annui alle scuole paritarie private, come avviene ora, oppure utilizzare quelle risorse per le scuole comunali e statali.
La portata di questo referendum va ben oltre i confini comunali. E’ l’occasione per dare un segnale forte contro i continui tagli alla scuola pubblica e l’aumento dei fondi alle scuole paritarie private.
In Italia c’è urgente bisogno di rifinanziare e riqualificare la scuola pubblica, quella che non fa distinzioni di censo, di religione, di provenienza. Quella dove le giovani cittadine e i giovani cittadini italiani ed europei imparano la convivenza nella diversità.
Da Bologna può ripartire un movimento di cittadini che impegni le amministrazioni locali e il prossimo governo a restituire alla scuola pubblica la dignità e la qualità che le spettano.

L’alternativa è una lenta rovina fino alla fine della scuola pubblica per come l’abbiamo conosciuta.
IL 26 MAGGIO A BOLOGNA POSSIAMO FERMARE L’OFFENSIVA CONTRO LA SCUOLA PUBBLICA.
IL 26 MAGGIO A BOLOGNA POSSIAMO DARE L’ESEMPIO A TANTI ALTRI E INSIEME INIZIARE A IMMAGINARE UN AVVENIRE DIVERSO PER NOI, PER I NOSTRI FIGLI E LE NOSTRE FIGLIE.

Primi firmatari:
  • Stefano Rodotà, presidente d’onore del Comitato referendario Art.33
  • Andrea Camilleri, scrittore
  • Margherita Hack, astrofisica e scrittrice
  • Salvatore Settis, Scuola Normale di Pisa, archeologo e saggista
  • Nadia Urbinati, Columbia University, New York, politologa, saggista ed editorialista de “La Repubblica”
  • Angelo Guglielmi, scrittore e giornalista, già direttore di RAI3, già assessore alla Cultura del Comune di Bologna
  • Carlo Flamigni, Comitato Nazionale di Bioetica
  • Wu Ming, scrittori
  • Maurizio Landini, segretario generale FIOM-CGIL
  • Alberto Lucarelli, ordinario di Diritto costituzionale all’università di Napoli
  • Romano Luperini, Università di Siena e Università di Toronto.
  • Luciano Gallino, Università di Torino
  • Lella Costa, attrice
  • Domenico Pantaleo, segretario generale FLC-CGIL
  • Lea Melandri, saggista Università delle donne Milano
  • Goffredo Fofi, saggista, giornalista, critico
  • Antonio Genovese, Università di Bologna
  • Sabina Guzzanti, attrice 
  • Ivano Marescotti, attore
  • Piero Bevilacqua, La Sapienza, Roma 
  • Vittorio Capecchi, Università di Bologna
  • Maurizio Fabbri, Università di Bologna
  • Nicola Tranfaglia, Università di Torino
  • Francesco Sylos Labini, Isituto Enrico Fermi, Roma
  • Maurizio Tiriticco, ispettore MIUR, Roma
  • Angelo Mastrandrea, giornalista
  • Loredana Lipperini giornalista, scrittrice, conduttrice radiofonica
  • Nicola Colaianni  Università di Bari
  • Carlo Formenti, giornalista e saggista
  • Moni Ovadia, musicista, scrittore

lunedì 25 marzo 2013

Due o tre cose che potrebbe fare il PD

Dentro il PD si è già scatenata la battaglia, da una parte quelli, alla Fassina, che vogliono un governo di rottura, dall'altra chi, come i seguaci di Renzi (e, immaginiamo, tanti vecchi big), vuole un governo di scopo con Berlusconi, probabilmente con l'appoggio del Colle. Circa sulla stessa linea si dividono i grandi giornali, col Corriere che parla di aperture a Monti, Cancelleri, addirittura Bombassei, mentre la Repubblica racconta di un Bersani con Rodotà e altre personalità d'area.
Il problema non è di poco conto. Berlusconi vuole l'accordo ma non il cambiamento; Grillo invece, dice di voler cambiare le cose ma non vuole nessun accordo. A soffrirne sarebbe solo il Paese che ha bisogno di un vero e proprio cambio di marcia.
Partendo magari dalle cose più semplici che sono anche quelle di maggiore impatto. Per esempio sul Corriere di domenica Dario di Vico ha raccontato la situazione disastrosa dei pendolari italiani, tra chi va in macchina, chi in bus, chi in treno, con una disorganizzazione totale, una rete obsoleta, infrastrutture inadeguate. Ebbene, in una situazione del genere, con pochi soldi e quindi con la necessità di fare scelte, non sarebbe un segnale di grandissima discontinuità sospendere a tempo indeterminato la TAV Torino-Lione e dedicare tutte quelle risorse al problema dei pendolari? La TAV, si dice, porta investimenti (sicuramente), lavoro (in parte), crescita (tutto da dimostrare) ma poco o nessun miglioramento nella qualità della vita delle persone. Una modernizzazione del sistema pendolare invece potrebbe allo stesso tempo avere un effetto benefico sulla vita di milioni di persone ed anche migliorar notevolmente la produttività (niente ritardi, meno stress, meno tempi morti e persi, etc etc..).
Nella stessa maniera si potrebbe decidere di cancellare completamente il programma degli F 35. Non una riduzione degli apparecchi comprati, proprio una rinuncia al programma, come per altro fatto senza scandali da altri Paesi, anche in virtù di un prodotto che, secondo molti mezzi di informazione tra cui il NYT, ha una spesa completamente fuori controllo e difetti tecnici disastrosi. Anche qui, i soldi per la ricerca servirebbero come il pane, per costruire basi solide per il presente e soprattutto il futuro del paese, per non perdere più talenti e intelligenze ma per attirarle, per rendere un servizio al sistema economico integrato, per investire in uno dei settori chiavi del Paese, l'Università.
Ed infine, la scuola pubblica. A Bologna a Maggio si terrà un referendum per togliere i fondi alle scuole private paritarie. Come si ricorderà il dettato costituzionale spiega chiaramente che alle scuole private è riconosciuta pari dignità ma senza oneri per lo Stato. Cosa puntualmente disattesa da Governo, Regioni e Comuni, comprese indubbiamente tante amministrazione di centrosinistra. Ecco, sarebbe bello che per rispetto sia ai cittadini che alla legge il PD chiudesse immediatamente questo assurdo movimento di soldi verso le private. Nella scuola pubblica non ci sono i soldi per la carta igienica e intanto paghiamo parte della retta (che rimane comunque più cara che nel pubblico) finanziando le scuole private?
Qui non si tratta diciamolo chiaramente, di fare niente di rivoluzionario, semplicemente di buon senso. Di stare dalla parte dei cittadini. Di non trincerarsi dietro interessi più grandi e spesso intangibili per i più. Ma di concentrarsi in progetti che migliorino, giorno per giorno, la vita degli italiani. Programmi inattaccabili cui dovrebbero dare il voto tutti quelli cui interessa il futuro dell'Italia.