martedì 30 agosto 2011

Le 20 crisi simbolo per cui scioperare

Da Repubblica, 2 settembre 2011

Il sindacato rilancia le ragioni della protesta: "Manovra depressiva: non c'è nulla per risolvere le vertenze industriali aperte e rilanciare lo sviluppo". I numeri: 187 tavoli aperti al Mise, 225mila lavoratori coinvolti, 500mila in cassa integrazione
Una manifestazione della Cgil a Bologna contro la manovra finanziaria

ROMA - Cento e 87 tavoli di crisi ancora aperti al ministero dello Sviluppo economico, 225mila lavoratori il cui futuro occupazionale è in bilico anche da due anni e poi 500mila dipendenti in cassa integrazione, 380mila dei quali in cassa straordinaria e in deroga. Sono i numeri che la Cgil ricorda nel rilanciare le ragioni dello sciopero generale del 6 settembre.

"La manovra - dice Vincenzo Scudiere, segretario confederale della Cgil - è depressiva e recessiva, priva di misure utili alla risoluzione delle tante crisi industriali ancora aperte nel nostro paese, alle quali è legato il futuro occupazionale di migliaia di lavoratori".

In gravi difficoltà, sottolinea la Cgil sono i macro settori produttivi, come testimoniano le numerose vertenze legate alla chimica, all'itc (information and communications technology), ma anche al settore farmaceutico, navalmeccanico, degli elettrodomestici, della ceramica, del mobile imbottito e dei trasporti. Ecco le 20 vertenze simbolo ricordate oggi dalla Cgil.

CENERENTOLA PER LO SCIOPERO - FOTO 1

Agile-Eutelia - Coinvolge 1.900 lavoratori. I sindacati rivendicano urgentemente la presentazione dei bandi relativi alla vendita dell'azienda. Risulta ancora mancante l'atto di indirizzo del ministero, mentre c'è una manifestazione di interesse da parte del manager italoamericano Mark De Simone.

Alenia - Il futuro del gruppo, a crisi non formalizzata la situazione, preoccupa soprattutto per l'impatto che avrebbe nel Mezzogiorno (Campania e Puglia su tutte) dove Alenia aeronautica impiega quasi 12mila lavoratori, 5mila dei quali concentrati in Campaniaa, mentre l'indotto ne occupa circa il doppio.

Atitech - Sindacati e lavoratori denunciano un inesorabile declino dello stabilimento di Capodichino di Napoli che si occupa di manutenzione aeronautica. Il calo progressivo delle commesse provoca un ricorso sempre più massiccio alla cassa integrazione straordinaria per i circa 700 lavoratori impiegati.

Basell - Punto focale della crisi della chimica in Umbria, la multinazionale Lyondell Basell ha aperto da oltre un anno una crisi che mette a rischio il lavoro di 150 operai in cassa integrazione e ormai prossimi al licenziamento. Centinaia poi i posti che gravitano nell'indotto. Si susseguono le proteste e i blocchi negli stabilimenti ternani per scongiurare la dismissione degli impianti.

Eaton - La fabbrica di Massa è occupata dal 6 ottobre 2010, da quando cioè la multinazionale Eaton ha deciso di chiudere uno stabilimento che impiegava oltre 300 operai nella produzione di componentistica per l'industria dell'auto. Al momento nessuna soluzione in vista.

Eurallumina - Allo stabilimento Eurallumina di Portovesme, in stand by da oltre due anni, sono ancora 800 gli operai parcheggiati in cassa integrazione mentre se ne contano appena 35 in attività e a rotazione.

Gruppo Fiat - Termini Imerese chiuderà le produzioni il 31 dicembre. Nessuno dei piani industriali al vaglio dell'advisor pubblico Invitalia può garantire occupazione ai 2.300 Lavoratori del sito siciliano e il loro futuro oscuro. Intanto, dopo la chiusura della fabbrica Cnh di Imola, avvenuta il primo giugno scorso, il Lingotto ha annunciato la cessione dello stabilimento Irisbus di Flumeri, in provincia di Avellino, al gruppo imprenditoriale molisano Di Risio. Circa 700 dipendenti (più l'indotto) sono contrari alla cessione. Lo stabilimento Irisbus dipende da Fiat Industrial ed ha prodotto finora autobus per trasporto pubblico.

Fincantieri - E' stato ritirato il piano industriale che prevedeva 2.551 esuberi più la chiusura dei cantieri di Sestri Ponente e Castellammare di Stabia, e il ridimensionamento drastico per Riva Trigoso, ma il confronto sul futuro del gruppo è fermo. Attualmente sono in cassa integrazione circa 2mila lavoratori pari al 25% del totale.

Ideal standard - La crisi di punta del distretto della ceramica di Civita Castellana, nel Lazio, che conta oltre 3.000 operai in cassa integrazione. Di questi in circa 700 sono in capo alla Ideal Standard.

Magona - A settembre parte la mobilità nello stabilimento Magona di Piombino che fa capo al gruppo Arcelormittal. L'azienda, specializzata nella produzione di acciai speciali, occupa tra diretti e indiretti circa 700 lavoratori. La scelta sarà su base volontaria almeno a settembre, per poi passare a ottobre a una fase di uscita incentivata sempre volontaria.

Gruppo Antonio Merloni - I commissari straordinari dell'azienda avrebbero restituito la caparra di 2 milioni all'azienda iraniana Mmd, che avrebbe dovuto rilevare gli stabilimenti. I lavoratori coinvolti sono 2.350, più qualche centinaio di piccole e piccolissime imprese dell'indotto. Sarebbero in corso contatti con altri imprenditori, ma non ci sono certezze nell'immediato.

Omsa - Sono in corso le verifiche sul riutilizzo dello stabilimento Omsa di Faenza e per la salvaguardia dell'occupazione. La scelta della capogruppo di spostare la produzione in Serbia lascia in bilico le 346 operaie del sito di Faenza e le circa 400 della Golden Lady di Gissi, in Abruzzo.

Pfizer - Si trascina senza soluzione in vista la vicenda del centro di ricerca farmaceutica Pfizer di Catania. Il sito del capoluogo etneo dell'azienda è in stato di agitazione dall'apertura della procedura di mobilità per 151 lavoratori dello stabilimento.

Phonemedia - Un caso drammatico di crisi irrisolta. L'ex Phonemedia, fino a tre anni fa colosso dei call center con 12 sedi sparse in tutta Italia, ha lasciato senza lavoro circa 5.200 addetti, solo una parte dei quali beneficia della cassa integrazione, spesso pagata con mesi e mesi di ritardo.

Porto Gioia Tauro - Dopo tre giorni di sciopero che hanno bloccato l'attività nello scalo, è passato il referendum sull'intesa siglata da sindacati e il terminalista Mct sulla cassa integrazione nel porto di Gioia Tauro. L'ipotesi di accordo prevede il ritiro dei 467 esuberi (su 1.067 dipendenti) annunciati da Mct in cambio di una cassa di 12 mesi a rotazione per 971 unità.

Severstal-Lucchini - C'è stato un accordo con le banche per l'avvio di un processo di ristrutturazione del debito da 770 milioni di euro delle acciaierie Lucchini. Ora va sondato il terreno per l'ingresso di nuovi acquirenti nell'azienda che vanta in Italia cinque stabilimenti (Piombino, Bari, Lecco, Trieste e Candove nel Torinese). Al momento dei 2.800 operai impiegati nel gruppo ce ne sono 500 ad alto rischio. Ad agosto nel sito di Piombino sono stati in cassa integrazione ordinaria 1.600 Lavoratori.

Sirti - Il gruppo specializzato nel settore della telefonia, impianti, apparecchi e reti, occupa circa 4.400 persone ed ha presentato una richiesta di cassa integrazione straordinaria con il preannuncio di alcune centinaia di esuberi.

Thyssenkrupp - La multinazionale dell'acciaio ha confermato l'intenzione di procedere allo scorporo dell'area inox, ma non sono ancora chiari tempi e modalità. La decisione avrebbe effetti diretti sullo stabilimento di Terni e sulle prospettive occupazionali dei suoi circa 3.000 lavoratori.

Videocon - L'azienda di Anagni, produttrice di televisori, si avvia ormai verso il fallimento con 1.300 operai che rischiano di perdere definitivamente il posto di lavoro. Al tavolo aperto presso il Mise si è deciso infatti nei giorni scorsi di abbandonare il percorso per la certificazione del debito dell'azienda, procedendo verso il concordato preventivo e la probabile apertura di una procedura fallimentare.

Vinyls - Sembra definitivamente tramontata l'ipotesi di una vendita in blocco dei tre stabilimenti (Porto Marghera, Ravenna e Porto Torres) a favore di uno 'spezzatino'. Per Ravenna l'ipotesi più accreditata sembra essere quella della Igs di varese. Mentre per Marghera e Porto Torres ogni ipotesi sul futuro è rimandata. Senza contare l'indotto che gravita intorno ai tre stabilimenti, i lavoratori del gruppo che rischiano sono 200 dei circa 450 complessivi.

Dal Cile, la leader degli indignados : fuori dal paese gli uomini di Pinochet

Da Il Fatto quotidiano , 30 agosto 2011

Da Santiago del Cile – 

Ventitrè anni, Camila Vallejo, da normale studentessa di geografia è diventata una star della comunicazione, sulle prime pagine dei giornali e sulle copertine patinate di tutto il mondo. È il volto, bellissimo, del movimento degli studenti che ha bloccato il Cile con manifestazioni imponenti e scioperi (qualche giorno fa ci è scappato il morto, un ragazzo di 16 anni, Manuel Gutierrez Reinoso: il carabinero che avrebbe sparato è stato rimosso ieri dalla polizia) contro il governo conservatore di Sebastián Piñera. Tutti i cileni parlano di lei. The Guardian l’ha addirittura paragonata al subcomandante Marcos. Ma Camila ha anche ricevuto decine di minacce di morte.

La sua bellezza, i suoi grandi occhi verdi e il piercing alla narice sono il simbolo più evidente di una storia che è cominciata poco più di tre mesi fa e che oggi minaccia di cambiare radicalmente la politica in Cile. Secondo la commissione economica per l’America Latina e i Caraibi delle Nazioni Unite, le condizioni economiche del Paese sono eccellenti: le previsioni di crescita per il 2011 si aggirano attorno al 6 per cento, mentre la crescita media del Sudamerica si attesta al 3,8 per cento. Ma provate a raccontarlo a Camila. Lei non sarà d’accordo. Lei non vuole essere una star e parlare di se stessa. E per dimostrarlo accetta di parlare, ma di politica. A cominciare dagli obiettivi del movimento: “Aumento del trasferimento di risorse pubbliche alle università statali e fine del sistema di indebitamento degli studenti e delle loro famiglie per accedere all’educazione; oggi gli studenti e i funzionari non hanno il diritto di organizzarsi come categorie né possono partecipare agli organismi di governo dell’università, dobbiamo cambiare; il sistema scolastico superiore deve essere gratuito”.

Che cosa sta succedendo in Cile? In piazza ci sono gli studenti, ma anche i lavoratori e gli ambientalisti. È la prima grande agitazione sociale dai tempi di Pinochet.
In termini storici, negli ultimi 21 anni, molte mobilitazioni degli studenti hanno posto le basi per la costruzione del processo in atto perché hanno messo in evidenza progressivamente la crisi che attraversa il settore educativo. Quest’anno, un passo in avanti fondamentale è stata l’aggregazione dei diversi attori sociali del mondo educativo che hanno avanzato le loro proposte e, mentre i giorni passavano, il progressivo appoggio di tutta la società che ha fatto proprie le nostre proposte. Credo che questo vasto appoggio alle rivendicazioni per un’educazione pubblica, gratuita e di qualità abbia molto a che vedere con il fatto che i cileni sono stanchi di un modello neoliberista imposto dalla dittatura e consacrato dai governi della Concertazione. Siamo stanchi di indebitarci per ottenere il rispetto di diritti fondamentali: l’educazione, la salute e la casa.

Quanto conta il fatto che il governo in carica sia di destra?
Il ruolo della destra al potere è stato particolarmente nefasto e l’atteggiamento assunto nei confronti dei manifestanti è stato di costante intransigenza. La destra ha scelto di approfittare della congiuntura creata dalle manifestazioni per perfezionare il suo modello, invece di cambiarlo. Secondo me, questo atteggiamento ha fatto sì che la cittadinanza, di fronte alla sordità dell’esecutivo, abbia optato per condannare il ruolo del governo e si sia unita al movimento.

Le gravi carenze del sistema educativo sono un’eredità della dittatura e oggi, nel governo, vediamo rispuntare vecchi nomi del tempo di Pinochet. Difficile cambi qualcosa.
Molti personaggi che hanno avuto ruoli importanti durante la dittatura, oggi li ritroviamo in ambito politico ed economico e, in questo senso, nulla è cambiato. Ma il tempo dei resti della dittatura è scaduto, perché è cambiata, invece, la fiducia che noi abbiamo nella possibilità di produrre quei mutamenti di cui il Paese ha bisogno. Perché la società è cambiata.

Una delle maggiori critiche fatte al movimento studentesco è che sia influenzato dai partiti di sinistra: hai la sensazione che sia davvero così?
Nel movimento siamo certamente in molti ad aver aderito a partiti o a collettivi di sinistra dentro i quali abbiamo lavorato per anni per introdurre modifiche sostanziali nel modello neoliberista, ma le richieste che il movimento esprime sono tanto giuste e tanto urgenti e necessarie che hanno permesso a molte persone di ogni colore politico di identificarsi nel movimento stesso, dando luogo a un grande sostegno trasversale che rappresenta la maggioranza del Paese. Non nascondo la mia militanza nel Partito comunista, ma questo non influisce nel mio ruolo di portavoce del movimento.

È possibile cambiare il sistema educativo senza introdurre cambiamenti sostanziali nel sistema economico e politico dominante?
Può essere il punto di inizio di un cambiamento importante a livello del sistema socioeconomico. Quello che facciamo nell’educazione ha una relazione diretta con quello che vorremmo fare nel Paese: è attraverso l’educazione che si formano i cittadini per costruire un Cile diverso.

Che pensi delle opinioni che si stanno formando all’estero su questo Cile scosso da manifestazioni e scioperi? Sai che tutto il mondo parla di te?
Spero che tutto il mondo parli del Cile, non di me. Penso che si stia cominciando a vedere che il Cile non è quel Paese di successo la cui immagine è stata promossa all’estero in questi ultimi anni e che si comprenda che ci sono profonde disuguaglianze, che la redistribuzione della ricchezza è una delle peggiori del mondo e che i cileni sono stanchi di indebitarsi per studiare, di non poter accedere a un’educazione di qualità e di essere oppressi da tutta una serie di altri problemi che ci ha scaricato addosso il modello neoliberista. Spero che all’estero si stia cominciando a conoscere meglio il Cile reale e il ruolo del movimento degli studenti che vogliono cambiarlo.

di Cristián Rau Parot

(ha collaborato Giacomina Cassina)

da Il Fatto Quotidiano del 31 agosto 2011

«Que vivan los estudiantes!» La lezione cilena

In Cile la storia si ripete. Nel Cile in cui, grazie al golpe del 1973 contro il socialista Allende ed ai 17 anni di dittatura fascista di Pinochet, i “Chicago boys” dello scomparso Milton Friedman hanno sperimentato la “contro-rivoluzione capitalista”, e le sue ricette poi estese al resto del mondo. Il primo e principale laboratorio del neo-liberismo è uno dei Paesi dove le diseguaglianze economiche e di opportunità hanno percentuali imbarazzanti. A dirlo non sono i soliti comunisti, ma un rapporto dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse). Con il ritorno alla “democrazia”, i 20 anni post-dittatura di governo della Concertaciòn, del centro-sinistra, hanno solo approfondito e “migliorato” lo stesso modello, lasciando sostanzialmente intatta la struttura economica (e militare) del Paese. Quel modello capitalista che fa acqua da tutte le parti. Il centro-sinistra ha continuato il “lavoro sporco” e la luna di miele del governo di destra di Sebastián Piñera con il Paese, oggi è amara e ormai mostra le corde. Nell’ultimo anno le mobilitazioni dei terremotati, del movimento ambientalista che si oppone ai progetti delle multinazionali (tra cui l’italiana Enel), le rivendicazioni dei Mapuche e di altre popolazioni originarie contro la rapina delle loro terre, l’inarrestabile movimento degli studenti a cui si è aggiunto il movimento sindacale (principalmente del settore pubblico) hanno marcato la forte ripresa del conflitto sociale. Un conflitto che è il più aspro dalla fine della dittatura di Pinochet, con una estensione e radicalizzazione inedita.
Non bastano più le operazioni di “marketing” di Piñera, il magnate della TV e del calcio dal cinico sorriso ingessato. Non basta più il ricordo del salvataggio dei 33 minatori. La realtà supera il “reality” ed il governo cerca a tutti i costi di recuperare la caduta verticale di sostegno che gli aveva fatto vincere le elezioni interrompendo il ventennio di centro-sinistra.
La Uniòn Democratica Independiente, (UDI), il partito del ex-dittatore Pinochet e dei suoi nipotini, è oggi più forte nel governo, con una ulteriore svolta a destra. E’ una destra sorda alle richieste degli studenti, dei lavoratori, dei movimenti, più abituata al manganello ed alle armi, che al dialogo.
All’alba di Venerdì scorso, la violenta repressione fa la prima vittima: Manuel Gutiérrez Reinoso, un adolescente colpito da un proiettile. E un altro è in fin di vita.Le rivendicazioni dei movimenti sono chiare e godono della simpatia della gran parte della popolazione: educazione gratuita e senza lucro (il settore è quasi tutto in mani private), il miglioramento della qualità dell’educazione, la ri-nazionalizzazione delle imprese del rame che permetta destinare le risorse alla spesa sociale con una più giusta ridistribuzione delle entrate, la riforma fiscale che faccia pagare i ricchi, una assemblea costituente che rediga una nuova costituzione per abolire quella di Pinochet.
Nelle manifestazioni è importante il coinvolgimento dei quartieri popolari, le “poblaciones”, fino ad oggi al margine delle proteste. Così come la loro estensione nelle altre città (Iquique, Antofagasta, La Serena, Concepciòn, Temuco, Valdivia e Valparaiso il principale porto cileno).
Una storia che conosciamo: studenti e lavoratori in piazza con le loro richieste, manifestazioni determinate, ma pacifiche, che si trasformano in violenti scontri grazie a un mix di provocazioni e disperazione sociale, la criminalizzazione del conflitto con le accuse di terrorismo.
Una storia che parla a noi. A un Italia che è sottoposta a terapie shock e sembra ancora addormentata. Dove settori della cosiddetta opposizione, il PD, si dicono contrari allo sciopero generale ed alle mobilitazioni sindacali. Dove le ricette lacrime e sangue del governo faticano a trovare un’opposizione dal basso capace di articolarsi e farlo cadere, garantendo un’alternativa politica credibile. E’ questo il nostro compito. Il Cile ce lo ricorda.

Marco Consolo
Liberazione

lunedì 29 agosto 2011

La Vecchia Castiglia, cuore d'Europa
Di Monica Bedana


E' la regione più vasta della Spagna, la terza più grande in Europa. Solo affacciandosi al muro di cinta di uno dei suoi tanti castelli medievali o guidando senza meta per le sue strade prive di orizzonte si può cogliere fino in fondo la vertigine della sua grandezza. Grandezza territoriale e storica. Da qui partí il grande sogno europeo di Carlo V, la lotta costante per quell'Europa politicamente unita che nel Cinquecento fu realtà ed ora è solo patetica finzione.

Castello di Villalonso

Nel 1518 il solido parlamento castigliano riunito a Valladolid per accogliere il nuovo sovrano -discendente dei re cattolici ma nato e cresciuto in terre lontane- diceva forte e chiaro che il potere del re non veniva da Dio ma da un contratto tacito tra il re ed il suo regno, in base al quale si sanciva che il regno serviva il re con i suoi tributi e lo aiutava con le sue genti in caso di guerra, mentre l'obbligo del re era di impartire buona giustizia. "In verità il re è nostro mercenario", tagliò corto il procuratore della città di Burgos nel rispondere alla magnifica eloquenza del futuro imperatore.
Oggi i governi, mercenari dell'Europa dei mercati, hanno completamente perduto il senso della "buona giustizia".

Castello di Tiedra

Castilla y León racchiude oltre il 60% del patrimonio artistico della Spagna, racchiuso in magnifiche città come Burgos, León, Salamanca, Ávila e Segovia, ma anche disseminato in una miriade di castelli, monasteri e conventi in cui si decisero le sorti del mondo. Due esempi su tutti: a Tordesillas, a venti chilometri da Valladolid, oggi un comune con meno di diecimila abitanti, nel 1494 Spagna e Portogallo si spartirono il nuovo mondo; nel Monastero di Santo Domingo de Silos apparirono, nell'XI secolo, alcune delle prime chiose in lingua romanza che furono il germe di una lingua che oggi parlano più di 400 milioni di persone in tutto il mondo.


Incredibilmente, anche sui rilievi dell'austera meseta spazzata da un vento secco e pungente anche in pieno agosto, può apparire, dove meno te lo aspetti, la magia italiana; qui sopra, Ermita de Nuestra Señora de la Anunciada, mirabile esempio di romanico lombardo.


Veglio sull'orizzonte dalla muraglia di Urueña - l'unica città del libro in Spagna - con un'ansia che non ha mai abbandonato negli anni il mio sguardo padano, troppo abituato a non trovare spazio in un territorio senza cielo e caoticamente pieno. Troppo per uno sguardo semplicemente umano; solo l'imperatore amico di Tiziano poteva dominarlo.

L'economia voodoo alla riscossa
Di Nicola Melloni da "Liberazione" del 26/08/2011

In Europa ancor più che in America è l'ora della riscossa dei liberali d'accatto. I problemi legati ai debiti sovrani, alle speculazioni contro i titoli pubblici e ai deficit dei governi europei hanno rimesso al centro del dibattito il ruolo dello stato nell'economia. Ostellino, sul Corriere, imputa al troppo stato la nascita della crisi finanziaria nel 2008, non dimenticandosi poi di renderci edotti che le ricette keynesiane sono più adatte a dittature come era quella sovietica che non a democrazie liberali. Certo, che la crisi nasca nel sistema bancario e in quei paesi (Usa e Uk) che i nostri liberali, tra cui lo stesso Ostellino, indicavano come l'esempio da seguire è un particolare irrilevante. Che poi il deficit sia soltanto la conseguenza del salvataggio delle banche deve apparire come una inezia.

Quell'intervento era indispensabile ma ora basta con le spese inutili, e subito intuiamo il vero obiettivo dei liberali d'accatto: le pensioni, la sanità, la scuola. Anche perché ora pure la teoria economica spiega che l'austerity è la miglior medicina per la crisi. Alberto Alesina, economista liberale italiano di stanza ad Harvard, ha appena rivoltato come un calzino settant'anni di studi, illustrando con dovizia di particolari che i tagli alle spese dello stato, componente della domanda aggregata, in realtà aiutano la stessa domanda a crescere. Una tesi talmente assurda (e validata solo attraverso un utilizzo a dir poco disinvolto delle statistiche) che per contrastare la tesi di Alesina sono scesi in campo dei bastioni del socialismo internazionale come l'Economist ed il Fondo Monetario Internazionale. Poco male, alla destra basta avere una pur minima copertura teorica, anche la più ridicola, per imbracciare il cannone e cominciare a sparare politiche economiche dagli effetti devastanti. Successe con Reagan e la curva di Laffer (l'idea secondo cui più si diminuiscono le tasse più aumenta il gettito fiscale, una teoria talmente priva di appigli reali che fu presto ribattezzata economia voodoo) ed ora ci siamo di nuovo con la Ue che sposa un'altra bufala - l'austerity che stimola la crescita - per cercare di imporre a tutti i paesi membri l'obbligo del pareggio di bilancio per legge.

Insomma, par proprio di essere in mano a degli stregoni che non avendo idee si affidano a riti magici. Questi stregoni sono al comando in Francia, in Germania, nella Bce e tentano di imporre le loro politiche senza logica al resto d'Europa, trovando una ottima sponda nell'inetto governo italiano.
Lo abbiamo detto più volte, il problema italiano è soprattutto legato alla crescita, crescita che già prima della manovra era stimata attorno all'1%. Per ridurre il debito, e di conseguenza rassicurare i mercati (che sarebbe poi quello che i liberali così fortemente vorrebbero), è indispensabile accelerare la crescita dell'economia, in quanto solo con un tasso di crescita nominale del Pil superiore agli interessi pagati sul debito si può mettere ordine alla dinamica del debito stesso.

In parte, ovviamente, ci potrebbe aiutare la Bce con una politica monetaria più espansiva, aumentando l'inflazione e riducendo di conseguenza gli interessi reali sul debito. Una soluzione che farebbe comodo a tutti i paesi in difficoltà dell'area mediterranea e che non avrebbe effetti negativi sulle economie più solide del Nord Europa. Ma a Berlino e Francoforte si preferisce aderire ad un'altra fantasiosa teoria economica, e cioè che l'inflazione sopra il 2-3% sia un problema per l'economia, quando invece, in situazioni come queste, rappresenta una opportunità.

Non potendo contare sulla leva monetaria, il nostro paese ha bisogno ora più che mai di una manovra che rilanci la crescita e non di una finanziaria recessiva come è invece quella proposta dal governo Berlusconi. Certo le spese improduttive devono essere cancellate, mentre bisogna rilanciare gli investimenti. Per reperire risorse e per cominciare ad abbattere il debito è inevitabile che tale manovra parta da una tassa patrimoniale il cui effetto sui consumi, al contrario di un innalzamento dell'Iva, sarebbe assai limitato. Che un governo di classe come quello di Berlusconi non la voglia appare ovvio e scontato; lo è assai meno che pure il Pd continui, assurdamente, a rinunciare a proporre tale tassa che non solo è moralmente equa ma anche e soprattutto economicamente giusta.

L'unica maniera di uscire da questa crisi è evitare che le politiche fiscali, come già quelle monetarie, rimangano ostaggio di una elite di super ricchi che si fanno scudo con teorie economiche fantasiose e dagli effetti disastrosi per l'Europa e per il mondo.

L'agonia di Zapatero, sancita dalla Costituzione
Di Monica Bedana

Il finale della legislatura di Zapatero e il suo addio alla scena politica si stanno trasformando in una lenta agonia con progressiva perdita di conoscenza del malato. Al capezzale di quel che fu il coraggioso Presidente che, appena eletto, compí senza indugi il primo punto del suo programma elettorale ritirando le truppe spagnole dall'Irak, c'è oggi l'infermiera Merkel a misurargli la febbre da spread e a raccomandargli l'unica medicina infallibile contro la crisi: l'introduzione del tetto di spesa pubblica nella Costituzione. E José Luis ingoia l'amara pillola, mentre l'opposizione fa quadrato ai piedi del letto del dolore tendendogli un bicchier d'acqua, applaudendo la docilità del malato e con la benedizione del consulto medico della BCE.

Zapatero è in prognosi riservata e dalla sua ormai voluminosa cartella clinica si impegnano ad emergere solo i bollettini medici che indicano l'irreversibilità della situazione: dall'ostinazione a non voler riconoscere l'esistenza della crisi mondiale, alla lentezza dell'applicazione delle prime misure per arginarla, fino alla crudezza dei tagli che hanno colpito in pieno quei diritti sociali che con tanta enfasi si era impegnato a costruire.
Ed ora alla malattia strutturale di tutto un sistema economico e di mezzo ciclo politico si aggiunge la cecità che gli impedisce di vedere che proprio l'austerità draconiana imposta dall'alto, sancita dalla Costituzione e fine a sé stessa è ciò che spingerà il Paese a sfiorare la Grecia.

Si alzano durissime le voci critiche di politici e membri di spicco del PSOE contro questa riforma-express, all'ultima moda italiana, della Costituzione: da Antonio Gutiérrez a Jordi Sevilla, da Tomás Gómez del Psoe di Madrid all'ex presidente del Parlamento Europeo José Borrell, fino allo storico Alfonso Guerra e a Fernando López Aguilar.
La società civile, in un'ennesima dimostrazione di ammirevole maturità, sta raccogliendo firme per chiedere che la riforma la decidano i cittadini attraverso un referendum, mentre gli indignados stanno organizzando le ormai consuete manifestazioni alla Puerta del Sol.

E l'agonia politica di Zapatero priva di ossigeno anche la campagna elettorale del candidato socialista Rubalcaba, che al suo esordio reclamava, in un inedito e vagheggiato ritorno alle origini del socialismo, che fossero le banche a pagare almeno parte del prezzo di una crisi da loro stesse generata. Il prossimo 20 novembre probabilmente non sarà più ricordato solo per essere il giorno in cui morí Franco.

Para A.V., qué remedio

venerdì 26 agosto 2011

Pensiero del giorno
(sul Cile, 38 anni dopo)
Di SimoneRossi

Mentre in Europa e negli USA la mannaia delle politiche neoliberali, camuffate da necessarie misure di austerità, si appresta a cadere sui lavoratori e sui cittadini, il Cile vede una serie di proteste e di scioperi per una società più equa, che significa innanzitutto educazione universale pubblica (di qualità) ma anche diritti sindacali e partecipazione popolare alla gestione della Cosa Pubblica.

A 38 anni dal golpe sostenuto dagli USA che portò al potere Pinochet, che tanto piaceva a "statisti" come R Reagan e M Thatcher (non scordiamo l'ecaurestia ricevuta da Giovanni Paolo II in persona), il Paese che fu la prima cavia delle politiche neoliberiste (privatizzazioni di beni e servizi comuni, riduzione dei diritti dei lavoratori, finanziarizzazione) dice basta.

Occorreranno a noi 38 anni prima di mostrare il dito medio a chi ci governa e di chiedere giustizia sociale, equità, diritti universali?Qualcuno di voi ritiene queste cose non sufficientemente moderne; forse bisognerebbe chiedere ai nostri bisnonni, se sono ancora vivi, o ai sud-americani come si viveva o si vive prima che il welfare state fosse messo in piedi. O leggersi Dickens che descrisse bene la società europea a venire.

giovedì 25 agosto 2011

Ogni scusa è buona. La crisi come pretesto per il colpo di grazia ai diritti sociali
A cura di Simone Rossi per la rivista "Aurora"

A quasi tre anni dallo scoppio della crisi finanziaria che portò al fallimento di alcuni istituti finanziari ed all’introduzione dei pacchetti di salvataggio delle banche, a due anni dall’annuncio del debito greco, i governanti dell’Europa si accorgono dell’esistenza di una crisi, a lungo negata, come nel caso di Berlusconi, o minimizzata per non dover assumere l’onere di riformare il settore finanziario e di rinnegare le politiche neoliberiste degli ultimi trent’anni. Come nel recente passato, però, le politiche economiche dei governi occidentali mirano a gettare il peso della crisi sul lavoro dipendente e sulla piccola-media impresa, con tagli indiscriminati alla spesa pubblica e incremento della tassazione sulla classe media e sul proletariato. Ancora una volta, anziché porre un freno al casinò della Finanza, regolamentandolo e ponendolo sotto il controllo della collettività, e tassare le rendite lo spauracchio del default e della “reazione dei mercati” è utilizzato per imporre alla gran parte della cittadinanza un ulteriore giro di vite sui diritti e sullo Stato Sociale, ammutolendo una Sinistra già di suo balbuziente.

Questi sembrerebbero tempi buoni per rispolverare un saggio pubblicato tre anni fa cui i mezzi di informazione a grande diffusione hanno fornito poco spazio a suo tempo. Una lettura forse poco idonea al dolce far niente sotto l'ombrellone, ma sicuramente istruttiva per chi vuol comprendere il nesso tra la crisi del debito e il “sacco” di classe che sta scoppiando in queste settimane.

Ripropongo qui un estratto della recensione del saggio della giornalista canadese Naomi Klein ”The Shock Doctrine “, pubblicata sul periodico Aurora lo scorso anno.
La narrazione della Klein illustra come nel corso degli ultimi cinquanta anni si sia assistito a numerosi tentativi, quasi sempre riusciti, di imporre i dogmi dell'economia neoclassica, o neoliberista come è frequentemente denominata, in larga parte del mondo, facendo ricorso a tecniche di manipolazione delle coscienze sviluppate nell'ambito militare, durante la Guerra Fredda. Secondo la ricostruzione presentata nel saggio, la cosiddetta Dottrina dello Shock annovera tra i propri “padri” lo psichiatra canadese Ewen Cameron e l'economista dell'Università di Chicago Milton Friedman. Il primo effettuò a partire dagli anni '50 una serie di esperimenti volti ad individuare tecniche per annichilire la volontà e la personalità delle persone, come possibile strumento di cura di alcune patologie psichiche; presto i suoi studi suscitarono l'interesse della CIA, che vedeva in queste tecniche uno strumento da utilizzare nella lotta al Comunismo. Le tecniche sperimentate da Cameron si basavano sull'utilizzo dell'elettroshock e di sostanze allucinogene, sull'isolamento dei “pazienti”, sull'alterazione del loro ciclo biologico e su altre tecniche di annullamento della persona; tecniche che avremmo poi visto utilizzate nella “guerra al terrorismo”. Nel medesimo decennio Friedman costruiva intorno a sé quella che sarebbe divenuta famosa come Scuola di Chicago, centro di elaborazione di teorie e strategie economiche neoclassiche, fondate sul dogma del libero mercato e della sua capacità di autoregolamentazione.

In base a quanto riportato da N. Klein, gli studi e le teorie di questi due uomini divennero le colonne portanti di quel processo di involuzione reazionaria che avrebbe poi preso l'avvio all'inizio degli anni '70, con cui una parte dell'élite politica ed economica statunitense e mondiale avrebbe “messo ordine” in casa e nel mondo, ponendo fine alle esperienze di governi progressisti nel Terzo Mondo, in particolare in quello che Monroe 150 anni prima aveva definito il cortile degli USA ('l'America Latina), ed erodendo poco a poco le conquiste sociali ottenute dai lavoratori nei Paesi Occidentali e nel Blocco Sovietico. È così che negli ultimi quarant'anni i fautori del sistema socio-economico liberista hanno imposto, con strappi successivi, le proprie politiche di riduzione della partecipazione democratica, di privatizzazione dei servizi e di compressione dei salari, sfruttando cinicamente e scientificamente i momenti di “shock” collettivo causato da catastrofi naturali o da eventi violenti di natura umana (guerre, colpi di stato, crisi economica).

A supporto della propria tesi la Klein offre un excursus di eventi che hanno caratterizzato la storia contemporanea del pianeta. Un primo esempio proviene dall'America Latina, continente segnato dall'avvento dittature fasciste nel corso degli anni '70, da crisi seguite alle politiche economiche dei governi militari, crisi gettate come un fardello sui governi di transizione democratica che hanno optato per l'opzione dell'indebitamento con organismi come la Banca Mondiale (BM) ed il Fondo Monetario Internazionale (FMI). La repressione violenta dell'opposizione da parte delle giunte militari, con metodi analoghi a quelli sperimentati da Cameron, la confusione causata dal dissesto finanziario, con fenomeni di iper-inflazione, ed il rischio, ventilato o reale, di default delle economie costituirono fattori di veri e propri shock collettivi che ammansirono ogni forma di dissenso all'implementazione di politiche neoliberiste. Secondo quanto descritto da N. Klein, situazioni analoghe si ripeterono alla caduta del sistema socialista in Europa Orientale, alla fine del regime di apartheid in Sud Africa, allo scoppio delle crisi economiche e finanziarie nel Sud-Est Asiatico ed in Estremo Oriente o, con non meno cinismo, a seguito di disastri naturali come l'uragano Katrina o lo tsunami nell'Oceano Indiano. L'instabilità politica ed economica, il rischio di una crisi dell'economia sono state utilizzate per indurre un senso di smarrimento, di disorientamento e di rassegnazione tra la popolazione, in modo da indurla ad accettare una trasformazione in senso liberista dell'economia e della società. Qualcosa cui noi Europei stiamo assistendo in questi mesi, con i governi che utilizzano il deficit di bilancio come clava con cui colpite i lavoratori dipendenti, i pensionati e le classi deboli, senza che esse reagiscano all'evidente ingiustizia.

mercoledì 24 agosto 2011

Questioni sparse


È questo l’ultimo atto dell’11 settembre? O forse l’instabilità è destinata a permanere?
Parsi sulla Stampa dice che vero nodo irrisolto e causa dell’instabilità di Maghreb e Levante rimane il conflitto israelo-palestinese (o arabo/israeliano): che significato ha la persistenza di tale incertezza ora che lo scenario delle relazioni internazionali si è trasformato e soprattutto l’America non è più solitario ed egemone driver di pace e guerra come dieci anni fa.
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9121

A ben vedere però Obama “l’anti-imperialista”, ha fatto terra bruciata dei nemici storici ed ereditati, se vogliamo con una certa furbizia “guidando dal sedile posteriore” (da Bin Laden a Gheddafi puntando sull’effetto domino in direzione Assad e Ahmadinejad)http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9122

Il ruolo dell’Europa in tutto questo? Sergio Romano con la solita aria da grande vecchio, pontifica che i complici dei regimi decaduti dovrebbero pagare anch’essi, ben sapendo che la storia ha la memoria cortissima (“Quanti uomini politici, soprattutto europei, verrebbero convocati all’Aja per rendere conto dei loro rapporti con il leader libico?”). Ma, secondo Romano, è soprattutto all’Europa, prima ancora che alla Nato, che spetta di gettare le basi per una Libia Democratica: notably Francia e Italia.
http://www.corriere.it/editoriali/11_agosto_24/i-veleni-in-coda-a-una-dittatura-sergio-romano_8e40bc74-ce0e-11e0-8a66-993e65ed8a4d.shtml

L’Italia, appunto: Caracciolo in un’intervista a L’Unità del marzo 2011 ci dava per sconfitti a prescindere e parlava di un’Italia affetta dalla sindrome del “posto a tavola” nell’illusione che partecipando, a modo nostro, a questa operazione di matrice “sarkoziana”, i francesi, gli inglesi e gli americani avrebbero spartito con noi il bottino della vittoria. Caracciolo metteva anche in guardia dall’assimilare la Libia ai movimenti di liberazione di Tunisia ed Egitto: “ La guerra in Libia è una storia a parte. L’errore di collocarla in una serie, dopo la Tunisia e l’Egitto, è alla radice della scelta franco-inglese-americana di entrare in guerra. Non esiste una rivoluzione popolare in Libia”.
http://napoli.indymedia.org/2011/03/21/guerra-alla-libia-%C2%ABcomunque-vada-noi-ne-usciremo-sconfitti%C2%BB-intervista-a-lucio-caracciolo/

Ora anche Caracciolo pur rimanendo dell’avviso che la guerra non è durata un lampo (“i lunghi mesi di guerra – non i pochi giorni pronosticati in Occidente sull'entusiasmo dell'insurrezione di Bengasi”), pur usando ironicamente l’espressione “guerra umanitaria”, sembra aver addomesticato i toni. Di fronte alle sue predizioni di sconfitta (simbolica?) dell’Italia, smentite dai giochi della politica internazionale e dalla memoria corta di cui sopra, non aggiunge più niente e anzi ci lascia un articolo insoddisfacente (quello di ieri su Repubblica), tramato di troppi interrogativi. Chi dovrebbe rispondere? Noi o lui? Con qualcuno ieri si ironizzava: aspettiamoci da Limes un numero monografico su Frattini, novello Camillo Benso.
http://temi.repubblica.it/limes/le-due-guerre-in-libia/26324


Francesca Congiu

martedì 23 agosto 2011

La piramide dei salami
Di Monica Bedana



Che da quasi un anno ci sia una piramide egizia sul Monte Venda, Colli Euganei, nel bel mezzo del Parco Regionale, a un tiro di schioppo da casa mia, è una cosa che mi rompe gli schemi. Ci fosse stato un tempio troiano, romano, anche visigoto al limite, avrei potuto capire. Ma l'Egitto col mito di Antenore mi pareva c'entrasse poco. Adesso invece tutto quadra: la piramide sarà pure abusiva ma è ad uso “agricolo-ecologico aziendale ed oleario” e serve come “deposito di bottiglie d'olio e per la stagionatura dei salami”, attività perfettamente in sintonia con la tradizione dei Colli, come giustamente sostiene la difesa dell'Associazione Piramide di Luce. Peccato davvero che il Tar non ci abbia creduto e abbia dato via libera alla demolizione.

Ora mi chiedo che tipo di salami erano quelli che a migliaia, ogni fine settimana, andavano a farsi stagionare al prezzo di 20 euro (10 per l'entrata e 10 per l'associazione) in questa “struttura fisico-energetica” che “ottimizza la stabilità dei cinque maggiori punti energetici che sostengono la penisola italiana” favorendo l'accesso a “livelli vibratori elevati, principalmente di natura cosmica” (detto cosí, o è cosa sismica o è cosa sconcia).La piramide ha inoltre “la capacità di accelerare il livello evolutivo della persona”.

Saputo questo, mi dispiace che l'abbattano; vorrei proporre di trasferirla a Palazzo Chigi, metterci dentro il Governo al completo e vedere se, con una buona stagionatura, tipo soppressa veneta, gli si accelera il livello evolutivo. E magari capita anche che i nani ne escano come top-models.

lunedì 22 agosto 2011

Patrimoniale, ICI, tassare il Vaticano: scelte non più rimandabili
Di Nicola Melloni per "Resistenza Internazionale"

In tempi duri si sta richiedendo a tutti di contribuire per salvare le finanze del paese. Teoricamente è una
proposta giusta, anche se bisognerebbe mettere le cose un poco in contesto. Negli ultimi 30 anni, mentre
accumulavamo il quarto debito pubblico del mondo e mentre il paese viveva al di sopra delle proprie
possibilità, qualcuno aveva già cominciato a pagare. Gli operai, ad esempio, in termini reali sono più poveri
di 30 anni fa, il salario ha perso potere d’acquisto e le condizioni di vita, nonché i diritti, variabile
assurdamente considerata non economica, sono peggiorati. I giovani vivono una esistenza precaria, con
contratti a tempo determinato,con pochissime occasioni di sviluppo professionale, insomma stanno peggio
dei loro coetanei di tre decadi fa. In generale il reddito si è distribuito contro il lavoro (dipendente) ed a
favore del capitale, la distribuzione della ricchezza si è polarizzata, più ai ricchi, meno ai poveri con un
generale processo di proletarizzazione della classe media, proprio quello che il vecchio Marx aveva previsto
150 anni fa e che si era evitato grazie al welfare state e alle politiche keynesiane, oggi tanto bistrattate.
Dunque, alla prova dei fatti, sembra un po’ bizzarro oggi che si chieda a coloro che già tanto, troppo, hanno
dato, di contribuire nuovamente a salvare il paese. La concertazione, la moderazione salariale erano state
richieste ed ottenute nel ’93 e poi per entrare nell’Euro. A moderazione salariale non corrispose però
moderazione nei profitti e ancor meno nelle rendite, improduttive per definizione. Ora siamo in una
situazione in cui molti pensionati vivono sotto il livello di povertà, in cui i giovani non possono comprarsi
una casa e quando perdono il lavoro devono tornare a vivere dai genitori, in cui i consumi sono in calo
perché il reddito è in calo. Ed in questa situazione si tagliano gli investimenti pubblici, si aumentano le
tasse, si paga il ticket sanitario. Sì, viene richiesto un contributo di solidarietà ai più abbienti, ma sa tanto di
contentino. Non è sufficiente in termini economici, non è abbastanza in termini di equità. La patrimoniale
era già necessaria 17 anni fa, quando sarebbe servita per riequilibrare il reddito, sarebbe stata giusta
quando si entrò nell’euro, è indispensabile ora per provare a mettere in ordine, parzialmente, i conti
pubblici. La richiedono anche molti ricchi che, se non illuminati, hanno almeno capito la gravità del
momento e comprendono che non si può sottoporre il paese all’ennesimo salasso che distruggerebbe
l’economia reale, facendoci ripiombare nella depressione con conseguenze gravissime nei prossimi anni, a
cominciare da una dinamica impazzita del debito ed una probabile fuori uscita dall’euro.

Dunque la patrimoniale, far pagare di più a chi più ha avuto in questi anni, non è solo un obbligo morale,
ma una necessità economica. Non si tratta di tassare i profitti reinvestiti, ma la ricchezza non produttiva,
quella che viene spesa in lusso e accumulata nei caveau, quella che non serve al paese perché questa
è l’ora di pensare a quello che davvero si può fare per salvare Italia ed Europa. Al contempo dovrebbe
essere reintrodotta l’ICI, l’unica seria misura di federalismo fiscale e tassa perequativa per eccellenza – a
patto naturalmente che si rivedano gli estimi catastali. Certo, come si è detto altrove, la casa è un diritto
fondamentale, ma non per questo esentasse, soprattutto quando non si pagano tasse su ville e castelli
registrate come prima casa, alla pari di squinternati scantinati. E con la ricchezza andrebbero tassati i
privilegi, a cominciare da quelli del Vaticano, calcolati da Repubblica in oltre 3 miliardi di euro annui. Perché
gli immobili commerciali della Chiesa non paghino l’ICI è una domanda che non avrà mai risposta. Non solo
si detraggono risorse indispensabili alle casse dello stato, ma si fa anche concorrenza illecita agli operatori
che, invece, quell’ICI, devono pagarla. Inoltre, in un momento in cui si fatica a trovare soldi per la ricerca,
destinare l’8 per mille alla CEI è una follia senza logica. Certo, tra le attività pastorali della Chiesa c’è anche
l’assistenza ai disagiati, meritevole, ma la maggioranza di questi contributi vengono usati per le spese
correnti, a cominciare dallo stipendio del clero, una cosa di cui si dovrebbe occupare il Vaticano – che se
non ha soldi potrebbe sempre cominciare a seguire il consiglio del sottosegretario Crosetto, vendere gli
immobili di valore per finanziare il debito, invece che prendere soldi dai contribuenti di uno stato vicino alla
bancarotta.

Queste sono misure di civiltà elementare e non può sorprendere che non vengano fatte da chi difende
il privilegio di classe e di casta. Ma certo che non vengano proposte nemmeno dall’opposizione
parlamentare, scavalcata a sinistra pure dagli industriali lascia davvero esterrefatti. E’ indegno questo
governo che affossa l’Italia, non è degna questa opposizione senza idee, con la coda di paglia, sempre
pronta ad accucciarsi in attesa della carezza del padrone, senza il coraggio di fare le scelte giuste. La Tobin
Tax che da oltre un decennio veniva richiesta dalla sinistra viene ora fatta propria dai conservatori alla
Merkel e Sarkozy. La denuncia della globalizzazione senza regole e del potere delle banche viene ogni ora
confermata dall’evolversi dei fatti. La storia, semplicemente, sta dando ragione a quei milioni di cittadini
che non hanno mai creduto nelle opportunità del mercato ma hanno temuto il potere delle oligarchie.
Arrivarci però con 5, 10, 15 anni di ritardo non serve a nulla. Le scelte coraggiose van fatte subito, non
quando è ormai troppo tardi.

Altro che mano invisibile. Ora è tempo degli animal spirits.
Di Nicola Melloni da "Liberazione" del 20/08/2011

Non sembra esserci fine a questa drammatica crisi di inizio secolo: le borse continuano a crollare e la recessione ora spaventa sia l'Europa che l'America. I governi non sembrano aver nessuna idea innovativa, prima si sono affidati al deficit spending per risanare le banche (e non per far ripartire l'economia reale), ora sperano che l'austerity possa calmare gli appetiti rapaci della speculazione internazionale. Ma si tratta fondamentalmente di wishful thinking, idee basate sulla speranza e non sull'analisi, che sembra ormai completamente mancare alla nostra classe politica. La realtà è che i governi occidentali sono ormai ostaggio dei mercati finanziari, che rispondono a logiche di brevissimo, immediato, periodo e non hanno nessuna visione del mondo al di fuori di quella del profitto immediato. Questi mercati sono retti dai cosiddetti animal spirits, altroché mano invisibile di smithiana memoria.

In effetti, quello a cui ci troviamo di fronte è un capitalismo che nulla ha a che fare con quello di Adam Smith, né con le altre forme di capitalismo che si sono storicamente succedute. Non vi è più un governo come comitato di affari della borghesia di marxiana memoria; quella borghesia aveva un progetto ed era protesa in uno sforzo egemonico tale da instaurare quelle istituzioni che potessero garantire l'accumulazione del capitale e la riproduzione dei mezzi di produzione. Sfruttando e saccheggiando ma costruendo, nel contempo, le basi del proprio futuro. Il capitalismo attuale non è nemmeno quello taylorista quando gli interessi della General Motors erano coincidenti con quelli dell'America. Certo quel capitalismo industriale era conscio della lezione del '29, della tendenza alla sovrapproduzione e della lezione di Keynes. Era un capitalismo che, naturalmente, sfruttava i lavoratori, ma garantiva il reddito e l'occupazione, perché i lavoratori erano anche consumatori e fornivano la domanda per le merci che essi stessi producevano.
Questo capitalismo, finanziario, è diverso, non capisce le necessità di riproduzione del capitale perché, per sua stessa natura, è interessato a tutt'altro. E' quella stessa logica che ha portato i Ceo delle compagnie finanziarie (e di alcune grandi industrie, come la Enron) ad aumentare artificialmente la quotazione delle azioni per raggiungere un guadagno (ed un bonus) immediato, pure al costo di sfasciare la redditività della compagnia. E' sempre quella logica perversa che faceva alzare gli indici borsistici quando la disoccupazione aumentava poiché questo significava una riduzione del numero di addetti e quindi dei costi delle imprese, ed in questa spirale di assurdità meno costi voglion dire maggiori profitti.

Non può dunque sorprendere che questi mercati finanziari stiano adesso addosso ai governi rei di averli salvati non più tardi di quattro anni fa. Chiedono finanziarie pesantissime per garantire il pagamento dei conti di oggi, ma non si rendono nemmeno conto che così facendo inficiano le prospettive di crescita di domani, quando verrà presentato un conto ancor più salato di quello odierno. Ed infatti, mentre i governi alzano le tasse e tagliano la spesa, l'industria boccheggia, a cominciare dall'auto, il bene di consumo per eccellenza. E non può essere un caso che i capitalisti di lungo corso abbiano visioni in netto contrasto con quelle dei finanzieri alla Marchionne che vedono come il fumo negli occhi un innalzamento delle tasse che diminuirebbe i profitti - vale per la Tobin Tax come per il prelievo di solidarietà o i tax cuts di Bush. Questi "vecchi" capitalisti capiscono che la finanziarizzazione dell'economia ha messo il capitalismo ed il mondo occidentale k.o., che mentre gli investitori vedevano gonfiarsi il portafogli, il lavoro perdeva reddito ed il capitalismo occidentale smetteva di investire e cominciava ad indebitarsi. Dunque i Buffett e i Montezemolo chiedono che vengano alzate le tasse ai ricchi, la cui propensione marginale al consumo rimarrebbe invariata, non andando a toccare il ceto medio, la cui incipiente proletarizzazione significa soltanto declino e miseria per l'Occidente.

Quello che nel 2007 non si è voluto capire è che la crisi finanziaria non era un qualcosa di passeggero da mettere a posto semplicemente con l'intervento pubblico. Quel che ci si è ostinati a ignorare è che la crisi greca non era solamente un evento di mala-finanza e di conti truccati. Quel che ora è indispensabile comprendere è che siamo di fronte ad una crisi sistemica e solo un totale rovesciamento del paradigma neo-liberale e il superamento del capitalismo finanziario potranno salvare un mondo che ci sta sprofondando sotto i piedi.

Cuatrovientos
Di Monica Bedana


Il gran discorso pubblico del Papa a Madrid se l'è portato via il vento. Ironia della sorte, il luogo in cui ha tentato di pronunciarlo si chiama Cuatrovientos. E per la posterità cattolica rimarrà il ricordo di quel silenzio calato all'improvviso su oltre un milione di persone arse dal sole, bagnate dalla pioggia e spazzate via dal vento in uno scenario degno di tutte e sette le piaghe d'Egitto.

Per la posterità laica, di questa visita papale rimarranno invece silenzi ben più pesanti, come quelli nati dalla furia di zittire la coscienza civile a base di manganellate. O dall'incongruenza di un Papa che chiede “radicalità cristiana” di fronte al rifiuto della fede ma non sa posizionarsi in modo altrettanto radicale sulla questione, cruciale per questo Paese, della fine dell'Eta.

Cuatrovientos e la Puerta del Sol si son visti trasformati in questi giorni in luoghi simbolo di irriconciliabili rivendicazioni, rivelando che il profondo malessere sociale scaturito dalla crisi economica è maturato a tal punto da aver la forza di scardinare l'idea storica della Spagna come baluardo del cattolicesimo. E anche questa controversa, forse inopportuna, sicuramente ostentata e caotica Giornata Mondiale della Gioventù andrà valutata, da oggi, in termini di voti per le prossime elezioni. Solo il 20 novembre sapremo che conseguenze avrà per le urne quest'esigenza impellente di uno Stato laico che nulla possa distogliere dal cittadino.

venerdì 19 agosto 2011

No all'abolizione del 25 aprile, diffondiamo l'appello dell' ANPI

Numerose proteste per la volontà del governo Berlusconi di abolire alcune festività laiche tra cui il 25 aprile (oltre al 1° maggio, festa dei lavoratori, e al 2 giugno, quella della Repubblica), ossia la giornata che celebra e ricorda la liberazione dell'Italia dai nazifascisti e il ritorno della dmocrazia.
Da qui una netta presa di posizione del Comiatato nazionale dell'Anpi. "Da quanto si apprende dai giornali - si rileva nel comunicato - tra i provvedimenti che il Governo si accinge ad adottare - in relazione all'aggravarsi della crisi - ci sarebbe quello dell'accorpamento di alcune feste "non concordatarie" nella domenica più vicina oppure al lunedì. Ancora una volta saremmo di fronte ad una misura che molti considerano di scarsissima efficacia e poco corrispondente all'equità e alla ragionevolezza, sempre necessarie quando si richiedono sacrifici. Un provvedimento che, guarda caso, riguarderebbe le uniche festività laiche sopravvissute (25 aprile, 1 maggio, 2 giugno), dotate di grande significato storico e di notevolissima valenza politica e sociale".
"L'ANPI - si sottolinea - portatrice e sostenitrice dei valori che quelle festività rappresentano, non può che manifestare la propria, vivissima preoccupazione e chiedere con forza un ripensamento che escluda misure di questo genere, prevedendone altre che siano fornite di sicura e pacifica efficacia, non contrastino con valori storico-politici da tempo consolidati e soprattutto corrispondano a criteri di equità politica e sociale".

Il link all'originale dell'appello sul sito dell'ANPI, QUI.

Per firmare l'appello di Articolo 21 contro l'abolizione del 25 aprile, 2 giugno e 1º maggio, 
clicca QUI.

Rating: ma che brutta parola!
Di Carla Gagliardini

Ultimamente ai telegiornali si sente parlare tanto di rating con riferimento agli Stati e alla loro
capacita’ di solvibilita’. Un’altra parola inglese che entra a far parte del linguaggio quotidiano di noi
italiani.

Chissa’ quanti sanno il significato letterale della parola? Forse pochi ma quasi tutti ne percepiamo il
contenuto.

Io prima di trasferirmi in Inghilterra non avevo idea di cosa fosse il “rating”. L’ho scoperto attraverso
il mio lavoro perche’ una delle primissime cose che mi venne insegnata fu di dire ai nostri clienti che
a non ripagare i propri debiti si finiva con l’aver il proprio credit rating danneggiato. A me continuava
a non dire nulla la cosa ma percepivo che si trattava di cosa seria perche’ i visi si facevano tesi e le
espressioni sembravano di terrore. “Ma cosa sara’ mai questo credit rating?”, mi ripetevo.

Dopo poco tempo ho capito di cosa si trattasse e la cosa continuava a lasciarmi indifferente.
Soddisfatta la curiosita’ non vedevo come questo potesse far venire la tremarella a molta gente. Ero
proprio ingenua.

Eppure ora comprendo con chiarezza che il credit rating puo’ essere davvero uno spettro
spaventoso. Per molti inglesi avere un credit rating negativo significa aver difficolta’ di accesso al
credito per un periodo di almeno sei anni. Vuol dire inventare un nuovo modo di vivere restando
nei limiti del proprio reddito. Per un inglese questo significa uno sforzo colossale abituato com’e’ a
vivere di credito.

Quello che io, invece, reputo essere piu’ spaventoso e’ che un credit rating negativo impedisca a
molte famiglie di trovare una casa da affittare perche’ nessun proprietario e’ disponibile a locare a
una persona dal credit rating non decoroso. Se si puo’ comprendere la posizione del proprietario
che affitta per ricavarci qualche sterlina non si puo’ pero’ accettare che molte persone si ritrovino
sprovviste di una casa perche’ da un lato sono sotto sfratto e dall’altro nessuno e’ disposto ad
affittare loro nemmeno una cantina.

Questo e’ il dramma che inizia a colpire alcune delle persone che assistiamo all’organizzazione
presso la quale lavoro. La carenza di case popolari rende ancora piu’ difficile trovare un tetto per
queste famiglie e il rischio che la situazione diventi esasperante e’ molto forte.

Il diritto alla casa e’ tra quelli che rientrano nella sfera dei diritti umani, per cui dovrebbe essere
tutelato a prescindere dalle negligenze di ciascuno. Eppure si tratta di un diritto non sempre dato
per acquisito e per il quale si deve ancora sudare e lottare per vederlo riconosciuto. Spesso cozza
con interessi che trovano maggior tutela.

La cosa della quale dovremmo preoccuparci e’ che ogni giorno si aggiunge un po’ di stress a
situazioni gia’ portate verso la soglia di massima sopportazione e oggi il malessere nel paese
(Inghilterra) si percepisce con molta forza.

I riots dei giorni scorsi non penso fossero motivati da ideologie e scelte politiche ma da veri e
propri problemi sociali che ne’ i laburisti ne’ questo governo di conservatori (meno che mai questo
governo!) sono stati in grado di affrontare con la dovuta concretezza.

Le sacche di poverta’ e di emarginazione sono molte. Spesso si tratta di persone senza motivazioni
o ambizioni, anche le piu’ semplici. Additati come poverini o parassiti, a seconda del governo in
carica del momento (oggi con i conservatori si chiamano parassiti, per esempio), sono giovani e
meno giovani ai quali i governi non hanno mai saputo tendere la mano per dar loro una possibilita’ di
riscatto per una vita migliore.

Si pensava a tenerli a bada con le varie sovvenzioni ai redditi zero o bassi ma non si e’ fatto nulla o
forse troppo poco per integrarli nella societa’ del lavoro e dell’istruzione. Si e’ creata una forbice
enorme tra una societa’ benestante e una societa’ che vive nel degrado e arranca. A cio’ si aggiunga
che sempre piu’ famiglie che fino a ieri si permettevano un tenore di vita piu’ che decoroso oggi
stanno precipitando nella poverta’.

Temo sinceramente che le soluzioni che verranno predisposte dal governo Cameron non faranno che
alimentare la tensione. Sembra che la Banda Cameron stia conducendo una Guerra contro una parte
della societa’ mentre contemporaneamente contribuisce al pagamento dei super-bonus ai dirigenti
di quelle banche che sono state parzialmente nazionalizzate (e che presentano ancora bilanci in
rosso!). Nulla di buono all’orizzonte……

Manovra, una ricetta alternativa c'è

Diffondiamo le sei proposte alternative ai tagli sociali della finanziaria proposte dal PRC e pubblicate su Liberazione.

1) Tassa sui grandi patrimoni al di sopra del milione di euro
2) Lotta all’evasione fiscale facendo pagare per intero le tasse a chi ha usato lo scudo fiscale
3)Dimezzare le spese militari. Basta con la guerra in Afghanistan e in Libia
4) Dimezzare gli stipendi delle caste e mettere un tetto agli stipendi dei manager
5) Le aziende che delocalizzano devono restituire i finanziamenti pubblici
6) Bloccare le grandi opere inutili come la Tav e il Ponte sullo Stretto e usare quelle risorse per un grande piano di sviluppo delle energie alternative e di riassetto idrogeologico del territorio



Per scaricare il modulo per firmare e far firmare la petizione, clicca QUI .
Per firmare la petizione al Presidente della Repubblica, clicca QUI .

Tobin, la tassa che non piace ai trader

Un articolo di Barbara Spinelli da "Repubblica" segnalatoci da Genny Carraro.
Per leggerlo, cliccate QUI.

mercoledì 17 agosto 2011

Azione e reazione dopo i moti di inizio agosto
Di Simone Rossi

SPECIALE LONDRA AGOSTO 2011


A meno di una settimana dalla rivolta che ha provocato devastazione in varie città dell'Inghilterra e lasciato quattro morti sul campo, finalmente sappiamo a cosa imputare tutto ciò. Non, come verrebbe da pensare, alle politiche economiche e sociali degli ultimi trent'anni, che hanno creato sacche di povertà ed emarginazione all'interno delle città, neanche alla cultura dell' "avido è bello" lanciata dal Primo Ministro Thatcher negli anni Ottanta, che nel lungo termine ha portato ad una pesante crisi finanziaria, allo scandalo dei rimborsi dei deputati ed al bubbone delle collusioni tra media, esponenti delle istituzioni e forze di polizia. No, il problema alla base della rivolta, figlia di una società che non funziona (broken society, come afferma il Primo Ministro Cameron), sono l'eccessiva attenzione ai diritti umani e la tutela della sicurezza nei luoghi di lavoro; potrebbe sembrare una barzelletta, o l'esternazione di un politicante di basso profilo in cerca del quarto d'ora di notorietà, invece questa è la linea adottata dall'Esecutivo ed esposta da Cameron che, senza tema del ridicolo, ha annunciato un giro di vite nelle politiche della sicurezza ed un termine al "lassismo" derivante dall'applicazione delle norme stabilite dalla Convenzione Europea sui Diritti Umani e di quelle per la sicurezza sui luoghi di lavoro. Infatti, secondo la versione di Cameron, esse hanno ingenerato un senso di deresponsabilizzazione dei cittadini nei confronti di sé stessi e della società. L'eccessiva tutela dei diritti umani, come se ci fossero gradazioni nei diritti, avrebbe spinto la polizia a non prendere un'iniziativa forte e decisa durante i saccheggi, nel timore di finire nell'occhio del ciclone, così come ha legato le mani agli agenti nella repressione del crimine in genere. Quest'ultima affermazione è stata ripresa e rilanciata sui quotidiani che, purtroppo, non hanno posto la domanda se Mark Duggan sia morto colpito da un mazzo di fiori dopo un inseguimento, o se le cariche contro gli studenti che protestavano contro il rincaro delle tasse universitarie in dicembre, circondati e tenuti in stato di fermo per ore al freddo, fosse un abbraccio metaforico, un gesto d'amore. E chissà quale diritto umano stava tutelando il poliziotto, ora sotto processo, che nell'aprile 2009 manganellò un passante, Ian Tomlinson, a margine delle proteste contro il G20, causandone la morte. Rientreranno nella definizione di diritti umani data da Cameron le centinaia di persone morte per mano della polizia nel corso degli ultimi dieci anni, come il brasiliano Jean Charles de Menezes, freddato nella metropolitana nel luglio 2005 perché erroneamente scambiato per un terrorista islamico?

Tuttavia, qualcosa si incrina nella “narrazione” dei Conservatori, fino ad ora protagonisti quasi assoluti della scena politica. Negli stessi giorni in cui esponenti del Governo si contendono il premio per la risposta più dura ed insensata ai moti di inizio agosto, una petizione popolare è stata attivata sul sito dell'Esecutivo, con l'obiettivo di precludere a coloro che saranno condannati per gli atti commessi durante alla rivolta la possibilità di ricevere sussidi ed altre forme di sostegno pubblico. Chiunque ha proposto questa norma e le oltre duecentomila persone che hanno sottoscritto la proposta ignorano che ciò già si applica a tutti coloro che subiscono una condanna penale, a prescindere dal reato; l'importante è avere vendetta, prendersela con il più debole.

Alle politiche di sicurezza annunciate dalla coalizione di maggioranza, basate sulla negazione della realtà, ed alla reazione rancorosa di parte dell'opinione pubblica si contrappongono le dure parole di condanna da parte dell'opposizione della situazione sociale in cui i saccheggi e la violenza sono maturate. Dopo gli attacchi contro i tagli e le discriminazioni nei confronti delle minoranze etniche lanciati dall' ex sindaco laburista Ken Livingstone all'indirizzo del Governo e dell'attuale primo cittadino londinese e dopo le condanne della riduzione nelle spesa per centri giovanili e scuole di qualità espresse da alcuni esponenti di spicco come Ed Balls e Diane Abbott, entrambi candidati alla segreteria del Partito Laburista lo scorso anno, si sono aggiunte le parole dell'attuale segretario laburista, Ed Milliband. Oltre a condannare gli eventi della scorsa settimana, egli ha posto l'attenzione sulle condizioni in cui vivono centinaia di migliaia di persone nel Paese, senza prospettiva di un miglioramento della propria posizione sociale e prime a patire le conseguenze delle misure di riduzione della spesa pubblica messe in atto dall'Esecutivo. Milliband ha inoltre evidenziato l'ipocrisia di una coalizione che condanna l'avidità ed il consumismo dei rivoltosi, mentre dall'alto giungono esempi negativi come quelli dello scandalo che ha coinvolto il quotidiano News of the World o quello dei rimborsi illegittimamente ottenuti dai deputati. Non ha peraltro tralasciato di criticare le gestioni laburiste, dal 1997 al 2010, che non hanno rotto quel meccanismo di esclusione sociale che crea sacche di povertà e di emarginazione.

Inoltre, con gran disappunto di benpensanti e forcaioli, nel fine settimana si sono tenute due manifestazioni nelle città di Birmingham e Londra, per esprimere solidarietà alle vittime dei moti ma anche per porre l'attenzione sulle inadeguate politiche giovanili messe in atto dallo Stato e dagli enti locali e sui tagli ai servizi per i giovani. A Londra un corteo di circa duemila persone ha marciato nel pomeriggio di sabato tra Dalston, a nord di Hackney, e Tottenham, in cui e deflagrata la rivolta, con lo slogan “Date un futuro ai nostri figli!”. La manifestazione è stata promossa di alcune associazioni ed organizzazioni che operano in questi due quartieri e che da anni cercano di lenire alle carenze dello Stato centrale nei confronti dei giovani dei rioni più degradati o delle comunità immigrate, togliendoli dall'influenza delle gang. Nella piattaforma della manifestazione si trovavano la solidarietà a coloro che nei moti (e prima) hanno perso un caro, la casa o il proprio esercizio commerciale, la richiesta di un rapporto non discriminatorio tra la polizia e le comunità e di chiarezza sulla vicenda di Mark Duggan, l'invito ad investire in politiche giovanili e nell'istruzione ed il rifiuto della criminalizzazione delle comunità disagiate prendendo a pretesto la rivolta appena conclusa. Nonostante i timori di tensioni e di scontri con una comunità esasperata, il corteo ha riscosso un generale supporto da parte dei passanti e di coloro che sull'uscio del proprio negozio o dalle finestre assistevano al passaggio dei manifestanti, probabilmente consci di come la risposta muscolare del Governo non porterà alcun miglioramento all'interno delle loro comunità. La manifestazione si è conclusa con l'intervento libero di cittadini e di esponenti delle organizzazioni promotrici, come forma di condivisione del proprio pensiero e di proposte. Che questo sia l'atto di nascita di un movimento popolare e democratico di lotta alle politiche di austerità, dopo i primi fuochi delle proteste studentesche e la mobilitazione di massa dello scorso marzo, abortita nelle divisioni identitarie dei partiti e delle organizzazioni che vi hanno preso parte?

La cena dei cretini (versione clericale)
Di Monica Bedana


Della gola sfrenata del clero cattolico, del suo costante predicare il digiuno a pancia piena durante i secoli, la letteratura è piena zeppa di aneddoti; risfogliare certe pagine del Decamerone sarebbe più che sufficiente a fornirne decine di esempi. Nel ventunesimo secolo pare che questa tendenza non sia affatto cambiata e nei giorni scorsi è apparso su alcuni giornali spagnoli il succulento menù e la carta dei vini che il Papa Benedetto XVI, la sua comitiva e gli eminenti prelati della diocesi di Madrid degusteranno questa settimana durante la cena ufficiale in occasione della prossima Giornata Mondiale della Gioventù, il raduno dei papaboys che sta già tenendo da giorni Madrid in stato d'assedio.

In un Paese in cui la Caritas conta otto milioni di poveri, dei quali uno e mezzo afflitto da “povertà severa ed alta esclusione sociale”, sentir parlare del foie, dei salumi iberici, del salmorejo e del filetto in composta di cipolla che si spazzolerà il Papa, innaffiando il tutto con vino di Rioja e Rueda, nonché Pedro Jiménez per il dolce e gelatine di birra e di gin tonic, è una notizia pesantina da digerire. E mi viene da aggiungere, visto che la lista dei vini supera quella delle portate del pranzo, che il pastore tedesco, facendo onore alle sue radici, incarna perfettamente il detto bere come un Lanzo. E che dopo il sacco di Roma ci toccherà parlare del sacco di Madrid. Anzi, del “sacco a pelo” di Madrid, apparentemente pacifica invasione di 10.000 pellegrini provenienti da ogni parte del mondo che sono prevalentemente alloggiati in strutture pubbliche, cosí come gli enti pubblici locali si faranno carico delle loro spese di trasporto, sanità e sicurezza.

Non occorre nemmeno ricordare che la scorsa primavera la Spagna ha sfiorato i 5 milioni di disoccupati, dei quali oltre il 40% giovani al di sotto dei 25 anni; che i tagli alla spesa pubblica che l'Europa dello spread ha imposto al Governo sono quasi gli stessi che stanno sbriciolando lo stato sociale in Italia; che proprio in questi giorni Zapatero sta cercando di batter cassa immediata di altri 20.000 milioni a base di privatizzazioni; che dalla solidale Germania, terra del Papa, è arrivato proprio ieri anche qui l'imperativo di mettere il pareggio del bilancio nella Costituzione.
E che i 100 milioni di euro che costa accogliere il mega-party della gioventù cattolica in questo momento è un pugno allo stomaco per i milioni di cittadini, laici o cattolici, le cui condizioni di vita sono state seriamente compromesse dalla crisi economica.

Le associazioni laiche hanno parlato di schiaffo alla Costituzione e di rischio di ri-cattolicizzazione del Paese ed hanno chiesto alla Procura di vagliare attentamente ogni discorso pubblico del Papa, che nella precedente visita a Barcellona avrebbe “incitato alla discriminazione per motivi attinenti alla situazione familiare, orientamento sessuale e credenze”, atto tipificato come delitto dal Codice Penale. Gli stessi cristiani di base definiscono l'incontro di Madrid come chiara ostentazione. E il Governo ha finalmente concesso che la marcia laica del giorno 17 passi per la Puerta del Sol, il luogo simbolo di tutte le rivendicazioni sociali del Paese.

Curiosamente, mentre il Santo Padre insieme a pochi eletti degusterà ogni prelibatezza del territorio, i pellegrini faranno incetta di colesterolo col menù a 6 euro di 2300 fast-food convenzionati, dal McDonald's al famigerato Telepizza; come dire, dal boccon del prete alla sbobba.
La Federazione Alberghiera Spagnola sborserà 6 milioni di euro per il menù del pellegrino; lo Stato ne perderà 25 di introiti, sotto forma di esenzioni fiscali concesse ai vari patrocinatori privati dell'evento.

Mentre aspetto con ansia il messaggio papale di speranza per i giovani disoccupati e per le 300.000 famiglie spagnole nelle cui case non entra attualmente nessun reddito (anche se intuisco che, nell'essenza, sarà brodo lungo e...seguitate!), non so se procedere a mettermi in fila in uno dei 200 confessionali installati nel centro di Madrid. E' stata indetta la Fiera del perdono (non è una mia battuta, si chiama proprio cosí, la “Feria del perdón”) e sarà concessa l'indulgenza plenaria a chi partecipa; 2000 sacerdoti confesseranno giorno e notte in 7 lingue... se tra queste ci fosse anche il veneto, io, suddito di quella Serenissima più volte scomunicata per i suoi intrallazzi con il turco, la mia lista di grossissimi peccati da esprimere in modo variopinto l'avrei già elaborata da tempo.
E poi tutti, di corsa, a mangiare il pan pentito.

(Per gli amanti dei modi di dire legati al cibo, quelli che appaiono in corsivo colorato in questo articolo e molti altri li ho raccolti QUI)