di Monica Bedana
Gli indignati, chi se ne ricorda più.
Su questo blog li abbiamo seguiti con costanza ed abbiamo assistito allo spettacolo di un
movimento ispirato e composto solo da cittadini -che dalla Spagna rimbalzò con forza nel
mondo intero- poi diluitosi nel nulla. A causa di quel desiderio di “purezza democratica” che
lo portava a non volersi infangare con la politica incapace, sorda e definitivamente “corrupta”
dei partiti. All’epoca del 15M Grillo teneva gli occhi puntati sulla Puerta del Sol e le altre piazze
spagnole.
La protesta e le proposte, un grande carico di energia rinnovatrice che avrebbe potuto, se
canalizzato in altro modo, cambiare il destino del Paese dopo Zapatero, si è evaporata senza
lasciare traccia attiva nella società che andasse oltre la vita di quartiere.
Ora il M5S, dopo la vittoria alle elezioni, ha nelle mani l’opportunità di incarnare di colpo tutto
lo spirito degli “indignados”, di catalizzarlo in quella serie di riforme urgentissime della politica
perfettamente condivisibili da tutta la sinistra di ogni dove. In nome del futuro dell’Italia, ma
anche della Spagna stessa, della Grecia derelitta e perfino degli States di “OccupyWallStreet”.
Non so se quella del rifiuto delle regole della democrazia da parte degli “indignados” fu
superbia o ingenuità; sicuramente il non “farsi partito” fu un tragico errore che consegnò il
Paese ad un PP che vinse le elezioni con uno scarto di 500mila voti sul PSOE che le aveva di
gran lunga perse. E nessuno dei due incarnava, incarna più le necessità impellenti della società
spagnola; esattamente come avviene in Italia.
Ingenuo, Grillo non è. Il Parlamento si può benissimo aprire come una scatoletta di tonno per
farcirlo poi di riforme che rilancino il Paese sulla strada dell’equità. Ma l’”iter” per farlo passa
inesorabilmente attraverso un atto di fiducia, quella che tutti i cittadini attendono, anche
quelli che non hanno votato per il M5S ma che godono degli stessi loro diritti democratici.
E il PD dell’ultima spiaggia tenga presente che minoranza di governo non deve essere sinonimo
di paralisi; il primo governo Zapatero, di minoranza, approvò una lunga serie di luminose
riforme sociali. Mentre SEL, con la sua forza dialogante, si rimetta in gioco facendo da “trait-
d’union” e moderatore di chi, al momento sa solo sbraitare. Probabilmente i n preda alla paura
di non essere all’altezza di assumere la responsabilità del cambiamento promesso.
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giovedì 28 febbraio 2013
Arrivano i clown
Tedeschi e inglesi, un complotto internazionale contro il circo-Italia. Viva il paese dei cachi e guai a chi lo tocca....
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D'Alema, l'Europa e la necessità di far seguire i fatti alle parole
Dice D'Alema in una intervista al Corriere della Sera:
"Non dimentichiamoci, infatti, che una chiave di lettura di questo voto è la disperazione sociale. La gente non ce la fa e comprensibilmente è esasperata verso tutti. Il voto dovrebbe mettere in allarme pure le tecnocrazie di Bruxelles, perché parla anche di loro: ci vuole un governo che abbia un mandato forte per fare valere queste ragioni anche in Europa. Il punto non è "Europa sì", "Europa no", ma "Europa come".
Un concetto simile esprime Andrea Orlando sul Manifesto, quando dice che il PD ha parlato più all'establishment che alla pancia del paese, che ai cittadini interessa come si esce dalla crisi e non il rispetto dei parametri del fiscal compact.
A ma pare una analisi condivisibile al 100%, che ricalca quanto scritto sul "non se ne può più del ' ce lo chiede l'Europa' ". Però D'Alema arriva sempre un po' fuori tempo massimo. E non solo lui. Questa analisi non la si poteva fare prima del voto. Non si poteva parlare alla disperazione sociale invece di lasciarla a Grillo? Ma soprattuto ora, se questa analisi è corretta, cosa propone D'Alema ed il PD per invertire la rotta? Di buone intenzioni sono lastricate le strade dell'inferno - e mai proverbio è stato più vero quando si parla di Italia e sinistra.....
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"Non dimentichiamoci, infatti, che una chiave di lettura di questo voto è la disperazione sociale. La gente non ce la fa e comprensibilmente è esasperata verso tutti. Il voto dovrebbe mettere in allarme pure le tecnocrazie di Bruxelles, perché parla anche di loro: ci vuole un governo che abbia un mandato forte per fare valere queste ragioni anche in Europa. Il punto non è "Europa sì", "Europa no", ma "Europa come".
Un concetto simile esprime Andrea Orlando sul Manifesto, quando dice che il PD ha parlato più all'establishment che alla pancia del paese, che ai cittadini interessa come si esce dalla crisi e non il rispetto dei parametri del fiscal compact.
A ma pare una analisi condivisibile al 100%, che ricalca quanto scritto sul "non se ne può più del ' ce lo chiede l'Europa' ". Però D'Alema arriva sempre un po' fuori tempo massimo. E non solo lui. Questa analisi non la si poteva fare prima del voto. Non si poteva parlare alla disperazione sociale invece di lasciarla a Grillo? Ma soprattuto ora, se questa analisi è corretta, cosa propone D'Alema ed il PD per invertire la rotta? Di buone intenzioni sono lastricate le strade dell'inferno - e mai proverbio è stato più vero quando si parla di Italia e sinistra.....
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Non se ne può più del "ce lo chiede l'Europa"
di Nicola Melloni
da Liberazione
L’Europa trema dopo le elezioni italiane e il panico-euro mette in fibrillazione tutte le cancellerie. I partiti “europeisti”, Pd e Monti – che erano pronti, prontissimi a governare insieme – sono stati presi a schiaffi dagli elettori. E i partiti che più si sono caratterizzati per posizioni anti-europee ed anti-sistema, Grillo e Berlusconi, hanno vinto, stravinto.
Mentre Bersani andava a Berlino a farsi incoronare dalla Merkel e dalla Spd, M5S e Pdl parlavano ai figli della crisi. Lo facevano alla loro maniera, certo, ma con grande efficacia. Berlusconi ha concentrato tutta la sua campagna elettorale sull’abolizione dell’Imu, un tema di ottima presa su un elettorato in grande parte in ginocchio, strozzato da debiti e dalle tasse cui poco o nulla importa della cosiddetta “responsabilità”. E Grillo, da parte sua, ha strizzato l’occhio agli evasori e si è presentato come vero anti-casta, come uno che vuole cambiare le cose, che ha capito che così non si può più andare avanti.
Tutto il contrario del Pd (e di Sel). Il partito di Bersani ha fatto di tutto per farsi catalogare come il partito pro-Europa proprio mentre l’Europa è nel baratro, con la Spagna che affonda e la Grecia schiantata. E l’Italia non sta tanto meglio. Ma i Democratici sembrano aver smesso di guardare ai problemi concreti. Hanno votato il fiscal compact anche se non lo condividevano (parola di Fassina) perché così volevano i mercati. Hanno accettato la riforma Fornero perché non si poteva far cadere il governo. Ma di tutto questo alla gente con l’acqua alla gola non può importare. Preferisce votare per qualcuno che promette meno tasse, o che punta il dito contro quell’establishment presso cui in questi anni il Pd ha tentato costantemente di accreditarsi. Con le solite idee scellerate, che le elezioni si vincono al centro – ed ecco la corte a Monti. Mentre si è dimostrato vero il contrario: il centro non conta nulla. E’ sempre contato pochissimo, i famosi moderati prendevano meno della Lega anche una volta. Ma conta ancora meno adesso, durante la crisi.
Stesso discorso vale per Vendola. Finchè si candidava come alternativa di rottura – Pisapia o Zedda – il risultato di Sel era travolgente. Ma non appena si piegava alle logiche della “vecchia politica” – vedi Napoli e Palermo – ecco che veniva abbandonato dagli elettori. Una lezione evidentemente non imparata. E così è successo anche stavolta, l’abbraccio del Pd filo montiano è stato una volta di più fatale.
E’ stato dunque un voto rivoluzionario – anche se Rivoluzione Civile è stata incapace di intercettarlo. Un voto, se vogliamo, alla greca. Con una parte maggioritaria del paese che dice no all’Europa dei burocrati e dei mercati e che dice no al famoso “podestà straniero”, alla sovranità limitata, al protettorato tedesco.
Non se ne può più del “ce lo chiede” l’Europa, senza che ormai si riesca a capire chi sia questa Europa. Gli elettori di Grillo hanno detto chiaramente che non delegano più. Non delegano ai mercati, di cui non si fidano. Non delegano all’Europa, che non eleggono. Non delegano ad una classe dirigente che ha fallito miseramente e pure si candidava a governare con gli stessi slogan degli ultimi vent’anni.
Berlusconi, più semplicemente, ha fatto una operazione di maquillage politico, supportato dai soliti tormentoni rimbalzati a getto continuo sui media. Contro la Merkel, contro le banche (!), soprattutto se tedesche, contro Monti, criticando tuto quello fatto per un anno, mentre il Pd ostentava con orgoglio quel bilancio fallimentare. Gli elettori hanno invece detto no, sonoramente, al governo Monti, all’austerity, ai ricatti europei. Ancora più duramente che in Grecia hanno rigettato il rigore europeo, la moneta unica salva in cambio di disoccupazione e miseria.
L’idea che l’economia, che il mercato, sia superiore alle condizioni di vita non è sostenibile in democrazia. Ed anzi, porta ad un cortocircuito completo. Con gli elettori che rispediscono al mittente le lettere di intenti europee, ma che nel frattempo rischiano di cadere vittima di capi popolo proprio perché i partiti più tradizionali non riescono a rappresentarne gli interessi – ed anche le paure e le speranze.
Si tratta dell’ultima chiamata per il PD, per l’Italia ma soprattutto per l’Europa. Il contratto sociale che ci è stato imposto a forza di tagli e privatizzazioni non è più sostenibile. Bersani e i suoi si sono illusi di aver salvato l’Italia riducendo lo spread, non rendendosi conto che in questa maniera la crisi non solo non era risolta ma si era anzi aggravata. O si riparte da reddito, lavoro e diritti o la strada dell’Euro – e con esso, forse, della nostra democrazia – è ormai segnata.
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da Liberazione
L’Europa trema dopo le elezioni italiane e il panico-euro mette in fibrillazione tutte le cancellerie. I partiti “europeisti”, Pd e Monti – che erano pronti, prontissimi a governare insieme – sono stati presi a schiaffi dagli elettori. E i partiti che più si sono caratterizzati per posizioni anti-europee ed anti-sistema, Grillo e Berlusconi, hanno vinto, stravinto.
Mentre Bersani andava a Berlino a farsi incoronare dalla Merkel e dalla Spd, M5S e Pdl parlavano ai figli della crisi. Lo facevano alla loro maniera, certo, ma con grande efficacia. Berlusconi ha concentrato tutta la sua campagna elettorale sull’abolizione dell’Imu, un tema di ottima presa su un elettorato in grande parte in ginocchio, strozzato da debiti e dalle tasse cui poco o nulla importa della cosiddetta “responsabilità”. E Grillo, da parte sua, ha strizzato l’occhio agli evasori e si è presentato come vero anti-casta, come uno che vuole cambiare le cose, che ha capito che così non si può più andare avanti.
Tutto il contrario del Pd (e di Sel). Il partito di Bersani ha fatto di tutto per farsi catalogare come il partito pro-Europa proprio mentre l’Europa è nel baratro, con la Spagna che affonda e la Grecia schiantata. E l’Italia non sta tanto meglio. Ma i Democratici sembrano aver smesso di guardare ai problemi concreti. Hanno votato il fiscal compact anche se non lo condividevano (parola di Fassina) perché così volevano i mercati. Hanno accettato la riforma Fornero perché non si poteva far cadere il governo. Ma di tutto questo alla gente con l’acqua alla gola non può importare. Preferisce votare per qualcuno che promette meno tasse, o che punta il dito contro quell’establishment presso cui in questi anni il Pd ha tentato costantemente di accreditarsi. Con le solite idee scellerate, che le elezioni si vincono al centro – ed ecco la corte a Monti. Mentre si è dimostrato vero il contrario: il centro non conta nulla. E’ sempre contato pochissimo, i famosi moderati prendevano meno della Lega anche una volta. Ma conta ancora meno adesso, durante la crisi.
Stesso discorso vale per Vendola. Finchè si candidava come alternativa di rottura – Pisapia o Zedda – il risultato di Sel era travolgente. Ma non appena si piegava alle logiche della “vecchia politica” – vedi Napoli e Palermo – ecco che veniva abbandonato dagli elettori. Una lezione evidentemente non imparata. E così è successo anche stavolta, l’abbraccio del Pd filo montiano è stato una volta di più fatale.
E’ stato dunque un voto rivoluzionario – anche se Rivoluzione Civile è stata incapace di intercettarlo. Un voto, se vogliamo, alla greca. Con una parte maggioritaria del paese che dice no all’Europa dei burocrati e dei mercati e che dice no al famoso “podestà straniero”, alla sovranità limitata, al protettorato tedesco.
Non se ne può più del “ce lo chiede” l’Europa, senza che ormai si riesca a capire chi sia questa Europa. Gli elettori di Grillo hanno detto chiaramente che non delegano più. Non delegano ai mercati, di cui non si fidano. Non delegano all’Europa, che non eleggono. Non delegano ad una classe dirigente che ha fallito miseramente e pure si candidava a governare con gli stessi slogan degli ultimi vent’anni.
Berlusconi, più semplicemente, ha fatto una operazione di maquillage politico, supportato dai soliti tormentoni rimbalzati a getto continuo sui media. Contro la Merkel, contro le banche (!), soprattutto se tedesche, contro Monti, criticando tuto quello fatto per un anno, mentre il Pd ostentava con orgoglio quel bilancio fallimentare. Gli elettori hanno invece detto no, sonoramente, al governo Monti, all’austerity, ai ricatti europei. Ancora più duramente che in Grecia hanno rigettato il rigore europeo, la moneta unica salva in cambio di disoccupazione e miseria.
L’idea che l’economia, che il mercato, sia superiore alle condizioni di vita non è sostenibile in democrazia. Ed anzi, porta ad un cortocircuito completo. Con gli elettori che rispediscono al mittente le lettere di intenti europee, ma che nel frattempo rischiano di cadere vittima di capi popolo proprio perché i partiti più tradizionali non riescono a rappresentarne gli interessi – ed anche le paure e le speranze.
Si tratta dell’ultima chiamata per il PD, per l’Italia ma soprattutto per l’Europa. Il contratto sociale che ci è stato imposto a forza di tagli e privatizzazioni non è più sostenibile. Bersani e i suoi si sono illusi di aver salvato l’Italia riducendo lo spread, non rendendosi conto che in questa maniera la crisi non solo non era risolta ma si era anzi aggravata. O si riparte da reddito, lavoro e diritti o la strada dell’Euro – e con esso, forse, della nostra democrazia – è ormai segnata.
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Il domatore Napolitano e il circo-Italia
Si è offeso Napolitano. Andato in Germania è finito in mezzo alla ridda di polemiche sul post-voto italiano. Il capo della SPD Steinbruck ha detto che in Italia hanno vinto due clown e allora apriti cielo. Il Presidente rappresenta l'unità d'Italia e pure la fierezza e l'orgoglio di un popolo! Ed allora ha subito cancellato l'incontro con il suddetto Steinbruck.
Che onestamente non si sa cosa abbia detto di male. Grillo è un comico e lo rivendica costantemente, dubitiamo si sia offeso per esser definito clown. Quanto a Berlusconi, beh, hanno ragione i socialdemocratici tedeschi quando dicono che clown è davvero il termine più educato per definirlo. D'altronde da noi lo hanno chiamato psiconano, berluskaz, satiro, mafioso, puffone e buffone. Non si capisce perché politici (e non governanti! attenzione) non possano usare il termine clown, proprio quando B. dava del kapò a Schulz e della culona alla Merkel. Per altro i commenti politici sui risultato delle elezioni sono cosa normale - se qualcuno si preoccupa se Le Pen arriva al ballottaggio in Francia non si capisce perchè non si possa esprimere sconcerto se Berlusconi era allo 0.4% dalla maggioranza alla Camera!
E poi, insomma, questo sobbalzo di nazionalismo e difesa dell'Italia, Napolitano poteva tenerlo per una occasione migliore. Tipo quando il governo italiano ricevette lettere segrete dalla BCE che ordinava cosa bisogna fare in finanziaria, non proprio il miglior esempio di orgoglio nazionale e rispetto della democrazia. Oppure quando Olli Rehn dice che non gli interessa chi vince le elezioni perchè il prossimo governo dovrà fare quello che dice lui.
Ma che scherziamo? Quello è rispetto degli obblighi internazionali - che siano stati imposti dal podestà straniero cambia poco. Cambiare la Costituzione, licenziare i lavoratori, congelare le pensioni perchè ce lo chiede Berlino, quello va bene. Ma salviamo le forme. Sudditi si, giullari no. Ma per favore...sembra proprio di essere al circo.
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Che onestamente non si sa cosa abbia detto di male. Grillo è un comico e lo rivendica costantemente, dubitiamo si sia offeso per esser definito clown. Quanto a Berlusconi, beh, hanno ragione i socialdemocratici tedeschi quando dicono che clown è davvero il termine più educato per definirlo. D'altronde da noi lo hanno chiamato psiconano, berluskaz, satiro, mafioso, puffone e buffone. Non si capisce perché politici (e non governanti! attenzione) non possano usare il termine clown, proprio quando B. dava del kapò a Schulz e della culona alla Merkel. Per altro i commenti politici sui risultato delle elezioni sono cosa normale - se qualcuno si preoccupa se Le Pen arriva al ballottaggio in Francia non si capisce perchè non si possa esprimere sconcerto se Berlusconi era allo 0.4% dalla maggioranza alla Camera!
E poi, insomma, questo sobbalzo di nazionalismo e difesa dell'Italia, Napolitano poteva tenerlo per una occasione migliore. Tipo quando il governo italiano ricevette lettere segrete dalla BCE che ordinava cosa bisogna fare in finanziaria, non proprio il miglior esempio di orgoglio nazionale e rispetto della democrazia. Oppure quando Olli Rehn dice che non gli interessa chi vince le elezioni perchè il prossimo governo dovrà fare quello che dice lui.
Ma che scherziamo? Quello è rispetto degli obblighi internazionali - che siano stati imposti dal podestà straniero cambia poco. Cambiare la Costituzione, licenziare i lavoratori, congelare le pensioni perchè ce lo chiede Berlino, quello va bene. Ma salviamo le forme. Sudditi si, giullari no. Ma per favore...sembra proprio di essere al circo.
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Blog democracy
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mercoledì 27 febbraio 2013
Come farà il PD a cambiare?
Governare con il M5S dopo averlo additato al pubblico ludibrio per 2 anni, dopo le battutine infelici dell'infelice Fassino (che è ancora senza una banca...ma gli manca anche qualcos'altro), dopo che lo si è attaccato per tutta la campagna elettorale - per altro ricambiati. Sembra una impresa impossibile. E penso infatti rimarrà una chimera.
Ora si parla tanto del modello Sicilia, ma governare una regione non è governare un paese, dove vanno fatte scelte strategiche e dove il governo non può andare sotto in maniera costante, soprattutto quando si parla di leggi di bilancio, tema su cui l'accordo sembra quasi impossibile.
Per prima cosa ci sono problemi tecnici. Al Senato Italiano l'astensione vale voto contrario, quindi o il M5S esce dall'aula mentre Monti vota la fiducia ad un governo che poi cercherà l'accordo con Grillo, o il governo Bersani non potrà neanche nascere. A meno che non si pensi che il M5S voti addirittura la fiducia - che mi pare quantomeno improbabile.
Bisognerebbe andare in Parlamento (ma prima bisogna pure farsi dare il mandato da Napolitano....) con un programma iper-rivoluzionario. Alcune cose sono fattibili, e andrebbero fatte prima di subito: leggi anti-corruzione, conflitto di interessi, mannaiata sulle auto-blu, ineleggibilità dei delinquenti. E magari un colpo di teatro, alla Grillo proprio: dichiarare Berlusconi ineleggibile in quanto tenutario di concessioni pubbliche, cosa che il PD non ha mai avuto il coraggio di fare ma che quelli del M5S non avrebbero problemi a fare.
Ma poi arrivano i nodi più duri. Reddito di cittadinanza, no alle grandi opere, e ripristino dei soldi per scuola e sanità pubblica. E come fa il PD a garantirlo? E soprattutto dove troverebbe i fondi?
Insomma, basterebbe ritornare a fare la sinistra classica - e questo forse sarebbe bastato anche prima e non ci sarebbe stata sta debacle elettorale (e il contemporaneo successo del M5S). Ma il PD ha abbandonato questa strada molto tempo fa, al suo interno esiste una classe dirigente fortemente conservatrice o quantomeno liberale (i cattolici, Letta, lo stesso Renzi) che non potrebbe mai digerire situazioni del genere. Un partito la cui cultura politica è molto diversa e molto distante da quei temi, che per anni ha guardato al centro e lo ha fatto fino a pochi giorni fa cercando di allearsi con Monti.
Forse lo potrebbe fare per "responsabilità", anche se sarebbe davvero buffo vedere un partito che per 1 anno vota responsabilmente con Berlusconi e poi comincia a farlo con Grillo.
Forse la maniera migliore sarebbe trovare un premier che faccia da ponte tra i due partiti - azzardo un nome assolutamente improbabile, ma altri non me ne vengono in mente, Stefano Rodotà - con un esecutivo non di partito e che quindi, essendo meno marcatamente di parte, darebbe più fiducia ai grillini. Ma si tratta di un percorso strettissimo.
Certo l'alternativa, governare con Berlusconi, sarebbe assai peggio, un vero suicidio politico. Ma i Democrats e i loro predecessori ci hanno abituato a idiozie di tutti i tipi. Speriamo siano cambiati.
Sarebbe bello. Ma improbabile.
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Ora si parla tanto del modello Sicilia, ma governare una regione non è governare un paese, dove vanno fatte scelte strategiche e dove il governo non può andare sotto in maniera costante, soprattutto quando si parla di leggi di bilancio, tema su cui l'accordo sembra quasi impossibile.
Per prima cosa ci sono problemi tecnici. Al Senato Italiano l'astensione vale voto contrario, quindi o il M5S esce dall'aula mentre Monti vota la fiducia ad un governo che poi cercherà l'accordo con Grillo, o il governo Bersani non potrà neanche nascere. A meno che non si pensi che il M5S voti addirittura la fiducia - che mi pare quantomeno improbabile.
Bisognerebbe andare in Parlamento (ma prima bisogna pure farsi dare il mandato da Napolitano....) con un programma iper-rivoluzionario. Alcune cose sono fattibili, e andrebbero fatte prima di subito: leggi anti-corruzione, conflitto di interessi, mannaiata sulle auto-blu, ineleggibilità dei delinquenti. E magari un colpo di teatro, alla Grillo proprio: dichiarare Berlusconi ineleggibile in quanto tenutario di concessioni pubbliche, cosa che il PD non ha mai avuto il coraggio di fare ma che quelli del M5S non avrebbero problemi a fare.
Ma poi arrivano i nodi più duri. Reddito di cittadinanza, no alle grandi opere, e ripristino dei soldi per scuola e sanità pubblica. E come fa il PD a garantirlo? E soprattutto dove troverebbe i fondi?
Insomma, basterebbe ritornare a fare la sinistra classica - e questo forse sarebbe bastato anche prima e non ci sarebbe stata sta debacle elettorale (e il contemporaneo successo del M5S). Ma il PD ha abbandonato questa strada molto tempo fa, al suo interno esiste una classe dirigente fortemente conservatrice o quantomeno liberale (i cattolici, Letta, lo stesso Renzi) che non potrebbe mai digerire situazioni del genere. Un partito la cui cultura politica è molto diversa e molto distante da quei temi, che per anni ha guardato al centro e lo ha fatto fino a pochi giorni fa cercando di allearsi con Monti.
Forse lo potrebbe fare per "responsabilità", anche se sarebbe davvero buffo vedere un partito che per 1 anno vota responsabilmente con Berlusconi e poi comincia a farlo con Grillo.
Forse la maniera migliore sarebbe trovare un premier che faccia da ponte tra i due partiti - azzardo un nome assolutamente improbabile, ma altri non me ne vengono in mente, Stefano Rodotà - con un esecutivo non di partito e che quindi, essendo meno marcatamente di parte, darebbe più fiducia ai grillini. Ma si tratta di un percorso strettissimo.
Certo l'alternativa, governare con Berlusconi, sarebbe assai peggio, un vero suicidio politico. Ma i Democrats e i loro predecessori ci hanno abituato a idiozie di tutti i tipi. Speriamo siano cambiati.
Sarebbe bello. Ma improbabile.
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Libellés :
Elezioni 2013,
Grillo,
PD
martedì 26 febbraio 2013
Rivoluzione contro la sinistra
Il giorno dopo è il solito disastro. Non annunciato, ma neanche così tanto sorprendente. Lo avevamo detto 15 mesi fa, votiamo subito, non diamo a Berlusconi la possibilità di organizzarsi. Invece è prevalsa una volta di più la logica della cosiddetta responsabilità. Occhio allo spread, ci dicevano. E oggi allora come vogliamo giudicare una manovra di palazzo (l'ennesima) che ha dato un governo orribile all'Italia per un anno e mezzo, che ci ha portati in recessione, distrutto la credibilità della sinistra e consegnato un Paese che del PD e della sinistra radicale non sa che farsene? Un paese dove 3 elettori su 5 (Grillo+B.) sono favorevoli o quantomeno non contrari all'uscita dall'Euro. Questo è stato l'ennesimo grande successo degli strateghi, delle teste d'uovo della sinistra italiana.
Che per non farsi mancare nulla hanno impostato la campagna elettorale sul suicidio. Alleiamoci con Monti, responsabilità, andiamo a Berlino a farci benedire da Frau Merkel e Herr Schauble. Come se bisognasse convincere i tedeschi e non gli italiani che, a torto ma soprattutto a ragione, imputano molte delle loro disgrazie a Berlino e Bruxells.
Con il bel risultato che gli italiani hanno identificato la sinistra con l'establishment, quello stesso establishment che ha portato l'Italia in rovina. E che spettacolo vedere i mercati euforici nel momento in cui vinceva il PD, tranquilli che il prossimo governo li avrebbe difesi da chi vorrebbe mettere loro freni e guinzagli. Mentre i lavoratori, i disoccupati, i giovani gli voltavano le spalle.
Bersani ha fatto una campagna elettorale col cacciavite in mano, non capendo che il sistema in cui viviamo è a pezzi e va cambiato. Altro che piccoli interventi. Gli Italiani sono esasperati e hanno scelto chi si è mosso contro il sistema e non in sua difesa. In parte Berlusconi, la destra che finge di rompere, contro quella responsabile di Monti, umiliata alle urne che ben fa capire che razza di borghesia ci sia in Italia. Con l'ennesima piroetta, B. è riuscito a far passare l'idea che lui col disastro in atto non c'entra nulla e gli hanno creduto. Dall'altra parte Grillo, più genuinamente anti-sistema e che ha infatti eletto a suo nemico principale il PD. Catalizzando tutti i voti di protesta, tutti i voti di chi è esasperato dalla crisi, dai partiti, dallo Stato.
A margine la sinistra radicale, ridotta ancora peggio che nel 2008 e non era facile, in mezzo ad una crisi economica che dovrebbe invece favorirla. Due anni fa SEL e IDV eleggevano sindaci in tutta Italia, l'area a sinistra del PD era tra il 15 ed il 20% e Grillo era al 4. Poi Vendola ha pensato bene di legarsi mani e piedi al PD e gli elettori hanno colto immediatamente che la sua proposta politica era in sostanziale continuità con chi ha governato in questi anni - e ripetiamolo, una campagna elettorale del PD tutta volta all'accordo con Monti non poteva certo aiutare. Ma l'errore era a monte, come si può fare un accordo di programma con un partito che ha sostenuto Monti mentre SEL lo avversava? Come chiaro, gli elettori non vogliono giochini di palazzo, ma coerenza e chiarezza.
E di conseguenza han castigato duramente Rivoluzione Civile che si è rivelata la brutta copia della Sinistra Arcobaleno. Messa su come cartello elettorale a 1 mese e mezzo dalle elezioni, con facce inguardabili come quella di Di Pietro, affossato dagli scandali personali e con i leader di partito alla Diliberto che sono in giro da almeno 15 anni. Quindi, al di là delle sue stesse colpe, RC è stata vista come un'altra operazione di palazzo ed opportunista. Senza dimenticare intellettuali con la puzza sotto il naso che si organizzano a Dicembre pretendendo di dettare legge e sindacalisti assenti che in nome della autonomia del sindacato si trovano senza nessuna spalla politica - eppure avrebbero già dovuto capire che le vertenze in fabbrica senza supporto politico si risolvono sempre e comunque in sconfitte. Ma si vede che ci piace perdere, puri, belli, ma perdenti.
Invece Grillo ha dato quello che la gente voleva, un chiaro segno di discontinuità. Ha vinto dunque un voto rivoluzionario, un voto facile che dà un messaggio chiaro: que se vayan todos. Quello che succederà dopo, non si sa. Ma iniziamo col mandarli a casa. Difficile, a sto punto, dargli torto.
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Che per non farsi mancare nulla hanno impostato la campagna elettorale sul suicidio. Alleiamoci con Monti, responsabilità, andiamo a Berlino a farci benedire da Frau Merkel e Herr Schauble. Come se bisognasse convincere i tedeschi e non gli italiani che, a torto ma soprattutto a ragione, imputano molte delle loro disgrazie a Berlino e Bruxells.
Con il bel risultato che gli italiani hanno identificato la sinistra con l'establishment, quello stesso establishment che ha portato l'Italia in rovina. E che spettacolo vedere i mercati euforici nel momento in cui vinceva il PD, tranquilli che il prossimo governo li avrebbe difesi da chi vorrebbe mettere loro freni e guinzagli. Mentre i lavoratori, i disoccupati, i giovani gli voltavano le spalle.
Bersani ha fatto una campagna elettorale col cacciavite in mano, non capendo che il sistema in cui viviamo è a pezzi e va cambiato. Altro che piccoli interventi. Gli Italiani sono esasperati e hanno scelto chi si è mosso contro il sistema e non in sua difesa. In parte Berlusconi, la destra che finge di rompere, contro quella responsabile di Monti, umiliata alle urne che ben fa capire che razza di borghesia ci sia in Italia. Con l'ennesima piroetta, B. è riuscito a far passare l'idea che lui col disastro in atto non c'entra nulla e gli hanno creduto. Dall'altra parte Grillo, più genuinamente anti-sistema e che ha infatti eletto a suo nemico principale il PD. Catalizzando tutti i voti di protesta, tutti i voti di chi è esasperato dalla crisi, dai partiti, dallo Stato.
A margine la sinistra radicale, ridotta ancora peggio che nel 2008 e non era facile, in mezzo ad una crisi economica che dovrebbe invece favorirla. Due anni fa SEL e IDV eleggevano sindaci in tutta Italia, l'area a sinistra del PD era tra il 15 ed il 20% e Grillo era al 4. Poi Vendola ha pensato bene di legarsi mani e piedi al PD e gli elettori hanno colto immediatamente che la sua proposta politica era in sostanziale continuità con chi ha governato in questi anni - e ripetiamolo, una campagna elettorale del PD tutta volta all'accordo con Monti non poteva certo aiutare. Ma l'errore era a monte, come si può fare un accordo di programma con un partito che ha sostenuto Monti mentre SEL lo avversava? Come chiaro, gli elettori non vogliono giochini di palazzo, ma coerenza e chiarezza.
E di conseguenza han castigato duramente Rivoluzione Civile che si è rivelata la brutta copia della Sinistra Arcobaleno. Messa su come cartello elettorale a 1 mese e mezzo dalle elezioni, con facce inguardabili come quella di Di Pietro, affossato dagli scandali personali e con i leader di partito alla Diliberto che sono in giro da almeno 15 anni. Quindi, al di là delle sue stesse colpe, RC è stata vista come un'altra operazione di palazzo ed opportunista. Senza dimenticare intellettuali con la puzza sotto il naso che si organizzano a Dicembre pretendendo di dettare legge e sindacalisti assenti che in nome della autonomia del sindacato si trovano senza nessuna spalla politica - eppure avrebbero già dovuto capire che le vertenze in fabbrica senza supporto politico si risolvono sempre e comunque in sconfitte. Ma si vede che ci piace perdere, puri, belli, ma perdenti.
Invece Grillo ha dato quello che la gente voleva, un chiaro segno di discontinuità. Ha vinto dunque un voto rivoluzionario, un voto facile che dà un messaggio chiaro: que se vayan todos. Quello che succederà dopo, non si sa. Ma iniziamo col mandarli a casa. Difficile, a sto punto, dargli torto.
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lunedì 25 febbraio 2013
La sinistra e l'arte di perdere
Cito direttamente quello che mi ha detto un amico e che penso spieghi bene lo stato della sinistra italiana: "l'istinto del potere in politica uno non se
lo può dare, è vent'anni che questi (i leader della cosiddetta sinistra) vorrebbero mettersi d'accordo,
dialogare, raggiungere un compromesso alto e nobile, e quell'altro (indovinate chi) con
grande disinvoltura continua a cagargli sulla testa".
Si son fatti fregare nel 94 quando avevano già vinto o così pensavano. Nel 96 con la bicamerale. Nel 2006 quando doveva essere la Caporetto del centrodestra. Ma non hanno capito nulla. Nel 2011 Grillo era al 4%, Berlusconi abbandonato da tutti e travolto da mille scandali, Monti non lo conosceva nessuno. 40 giorni di campagna elettorale e vittoria scontata. No. Siamo responsabili. Governo di larghe intese, IMU, riforma Fornero, pensioni etc etc. Risultato: gente schifata che vota Grillo, mentre Berlusconi si riorganizza, molla Monti, galvanizza le truppe e rischia ora di vincere.
Che strateghi! E il migliore, ovviamente, siede al Quirinale. Certo, bisognava salvare l'Italia dalla minaccia dello spread, coem se in Grecia, Spagna, Irlanda non si fosse votato. Bel risultato. Spread sotto controllo, ma poi rischiamo di ritrovarci di nuovo Berlusconi al governo. E' questo quello che si intende per salvare il paese? Non si riescono a fare due conti che vadano oltre le proiezioni da qui a 5 minuti ma abbiano un disegno e una prospettiva più ampia?
Chiosa finale per quella barzelletta della sinistra radicale che riesce a fare peggio pure del PD, e non è cosa da poco. Due anni fa Vendola andava vero il 7-8%, Grillo pure, Rifondazione da sola prendeva più voti di quelli che oggi ha preso Rivoluzione Civile. Ora son riusciti a far peggio del 2008. Vendola ha svenduto un capitale politico impiccandosi con la corda del PD - esattamente quello che non volevano i suoi elettori, che volevano sinistra, non Monti. Gli altri, ancora più a sinistra, han pensato bene di aspettare Dicembre per organizzarsi, con una selezione del personale modestissima, con una personalizzazione della politica che di sinistra non ha nulla. E con vari faccioni tipo quello di Di Pietro far capolino dietro la faccia pulita di Ingroia. E son stati presi a calci in culo, ovunque.
Ora, davanti a questo sfacelo, una delle portavoci di Bersani (ne ha tre, sarà uno e trino pure lui..) ha detto che bisognerà trovare delle intese in Parlamento per governare comunque. Brava. Hai capito tutti. Forse il calcio in culo, in fondo, se lo meritano.
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Si son fatti fregare nel 94 quando avevano già vinto o così pensavano. Nel 96 con la bicamerale. Nel 2006 quando doveva essere la Caporetto del centrodestra. Ma non hanno capito nulla. Nel 2011 Grillo era al 4%, Berlusconi abbandonato da tutti e travolto da mille scandali, Monti non lo conosceva nessuno. 40 giorni di campagna elettorale e vittoria scontata. No. Siamo responsabili. Governo di larghe intese, IMU, riforma Fornero, pensioni etc etc. Risultato: gente schifata che vota Grillo, mentre Berlusconi si riorganizza, molla Monti, galvanizza le truppe e rischia ora di vincere.
Che strateghi! E il migliore, ovviamente, siede al Quirinale. Certo, bisognava salvare l'Italia dalla minaccia dello spread, coem se in Grecia, Spagna, Irlanda non si fosse votato. Bel risultato. Spread sotto controllo, ma poi rischiamo di ritrovarci di nuovo Berlusconi al governo. E' questo quello che si intende per salvare il paese? Non si riescono a fare due conti che vadano oltre le proiezioni da qui a 5 minuti ma abbiano un disegno e una prospettiva più ampia?
Chiosa finale per quella barzelletta della sinistra radicale che riesce a fare peggio pure del PD, e non è cosa da poco. Due anni fa Vendola andava vero il 7-8%, Grillo pure, Rifondazione da sola prendeva più voti di quelli che oggi ha preso Rivoluzione Civile. Ora son riusciti a far peggio del 2008. Vendola ha svenduto un capitale politico impiccandosi con la corda del PD - esattamente quello che non volevano i suoi elettori, che volevano sinistra, non Monti. Gli altri, ancora più a sinistra, han pensato bene di aspettare Dicembre per organizzarsi, con una selezione del personale modestissima, con una personalizzazione della politica che di sinistra non ha nulla. E con vari faccioni tipo quello di Di Pietro far capolino dietro la faccia pulita di Ingroia. E son stati presi a calci in culo, ovunque.
Ora, davanti a questo sfacelo, una delle portavoci di Bersani (ne ha tre, sarà uno e trino pure lui..) ha detto che bisognerà trovare delle intese in Parlamento per governare comunque. Brava. Hai capito tutti. Forse il calcio in culo, in fondo, se lo meritano.
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Vince il PD, euforia in borsa
I mercati festeggiano la vittoria del PD. Forse sono folli. O forse hanno capito tutto.
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L'uso politico dell'economia
di Nicola Melloni
da Liberazione
Come si spiega allora il comportamento dei mercati finanziari? O sanno qualcosa che non sappiamo – e non sembra probabile – oppure basano le loro analisi su qualcosa di diverso dall’andamento dell’economia reale. In particolare, per gli investitori che comprano bond e titoli di Stato, il dato più importante è che i pagamenti vengano rispettati, in parole povere che il debito venga ripagato. Poco conta l’ammontare del debito stesso, soprattutto se sovrano: per definizione uno Stato in controllo della sua politica monetaria non può fallire – può sempre stampare moneta per coprire i suoi debiti.
Tutto il panico dello scorso anno era dovuto, dunque, non tanto o non solo all’andamento macroeconomico, quanto piuttosto al fatto che i Pigs non hanno più una banca centrale e dunque non possono stampare moneta. A quel punto sì che l’accumularsi del debito diventa un problema serio. E si è allora cominciato a predicare politiche di austerity che riducessero il debito riportando fiducia e serenità sui mercati. La soluzione sbagliata al problema sbagliato.
Innanzitutto per ridare fiducia ai mercati bisognava ristabilire la sovranità monetaria, cioè la certezza che il debito fosse solvibile. E questo lo hanno fatto Mario Draghi e la Bce con il famoso annuncio dello scorso anno che l’Euro sarà difeso a tutti i costi. Non a caso, da quel momento le cose sono andate migliorando in quanto gli speculatori hanno capito che a Francoforte erano pronti a stampare tanti euro quanto fossero necessari per evitare il fallimento dei Paesi in difficoltà – e i dati appena forniti sull’acquisto dei Bot da parte della Bce non fanno che confermare questo dato.
Non era dunque l’austerity quello di cui avevamo bisogno. Anzi, di più. L’austerity ha peggiorato la crisi. Non solo l’economia reale è drammaticamente peggiorata ma addirittura il debito si è alzato, esattamente quello che volevano cercare di evitare i promotori delle politiche restrittive. Un fallimento su tutta la linea. Dettato, almeno in parte, da calcoli clamorosamente sbagliati. Per anni ci siamo sentiti dire che la ripresa stava arrivando, che le cose sarebbero andate meglio, salvo poi rivedere costantemente al ribasso le stime della crescita. La Grecia è il caso di scuola in questo senso, ma anche l’Italia e il resto d’Europa sono state afflitte da un problema simile: ogni volta i risultati reali dell’economia erano notevolmente peggiori di quelli pronosticati e, di conseguenza, la crescita diminuiva, le entrate pure, e i tagli non bastavano mai, con la dinamica del debito in crescita invece che in diminuzione.
Come dicevamo, una parte di questo problema è dovuto ad un errore madornale nei modelli economici usati. Il punto in questione è la valutazione del cosiddetto moltiplicatore keynesiano. In sintesi, un qualsiasi ammontare di risorse immesse nell’economia non ha solo un effetto diretto (1000 euro in più investiti dallo Stato assumendo nuovi lavoratori saranno conteggiati come 1000 euro in più nel Pil) ma anche un effetto indiretto (questi 1000 euro con cui si pagano dei salari, verranno poi, in parte, spesi in consumo, passeranno di mano, e poi consumati o investiti da chi li ha ricevuti come pagamento, e così via, fino ad esaurimento). Ora, per capire esattamente quale sarà l’effetto finale del mio investimento (o spesa) iniziale, dovrò calcolare quale è la propensione marginale al consumo della popolazione (quanti di quei 1000 euro iniziali pagati in salari vengono poi usati per aumentare il consumo). Più grande sarà la propensione al consumo, maggiore sarà l’effetto espansivo dell’investimento iniziale. Per l’austerity, ovviamente, si fa il caso contrario: quanto si ridurrà la nostra economia aumentando le tasse e/o diminuendo la spesa pubblica? Il Fondo Monetario, l’Unione europea e tutte le maggiori istituzioni finanziarie internazionali per cercare di determinare gli effetti dell’austerity hanno calcolato una propensione al consumo (e dunque un moltiplicatore keynesiano) molto, troppo basso – sottostimando dunque l’impatto dell’austerity sull’economia reale, ed ecco spiegato come mai le stime di crescita erano sempre eccessive.
Modelli sbagliati, risultati inattesi, disastri per l’economia reale e nessuna possibilità di rimettere i conti a posto. Questo il risultato dell’austerity. Un tal disastro che anche il Fondo Monetario Internazionale ha dovuto rivedere qualche cosa. I suoi economisti avevano già smentito i soliti Alesina e Giavazzi che in un loro studio avevano addirittura previsto che una stretta fiscale avrebbe portato alla crescita. Il passo successivo è stato smentire proprio le politiche del Fmi e il loro supporto dell’austerity. Un esercizio di onestà intellettuale, probabilmente. Cui ci si sarebbe aspettato dovesse seguire una immediata revisione delle politiche di austerity e del fiscal compact, ora patentemente non solo inutili, ma proprio sbagliati e dannosi. Ed invece no! Nonostante l’evidenza empirica e la teoria economica presentino un quadro chiarissimo e non smentibile, in Europa si continua ad andare dritti per la propria strada. Ed infatti, pochi giorni fa, l’impagabile Olli Rehn ha accusato il Fondo di alimentare il panico sui mercati e di interferire con il processo di risanamento. Una dichiarazione grottesca a dir poco. Ma che svela l’ideologismo di alcuni personaggi, ormai nemmeno nascosto dietro i modelli economici. Chi se ne importa se l’austerity non funziona. Chi se ne importa se i calcoli fatti si sono dimostrati sbagliati. Chi se ne importa se le politiche proposte non servono a nulla a risolvere la crisi del debito. I fatti non contano nulla. L’ideologia mercatista è l’unica cosa che conta, anche se patentemente sbagliata.
Dal che non possono che discendere alcune considerazioni. L’economia viene usata per fini politici, inconfessabili, che vengono coperti dalle supposte necessità dei mercati. Questi fini sono la “normalizzazione” delle economie europee a forza di svalutazioni interne, disoccupazione, riduzione dei salari. Un rilancio del neoliberismo in grande stile. All’Europa, e non solo a lei, non interessa l’efficacia delle politiche economiche e non interessa nemmeno la riduzione del debito, Interessa invece tagliare lo stato e le spesa pubblica, privatizzare, favorire un capitalismo tutto basato sui profitti e non sulla coesione sociale. L’economia di mercato non è più un fine per aumentare la ricchezza, il benessere, l’occupazione. No, il fine è l’austerity stessa, il fine è la distruzione del modello sociale che combinava capitalismo e democrazia. Il fine è la dittatura del mercato.
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domenica 24 febbraio 2013
Rivoluzione Civile si o no
Per completare la serie di al voto al voto abbiamo uno scambio finale tra Davide che invita al voto utile contro Rivoluzione Civile, e Nicola che sostiene l'opposto. Blog libero ospita tutte le posizioni per una sinistra migliore
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"Condivido parecchio della proposta politica di Rivoluzione civile.
Tuttavia,
mi sembra una operazione politica da non avallare quella di mettere in
vista uno o due personaggi che fanno da icona, dietro cui nascondere
parecchi politici vecchi e poco presentabili, che di fatto capeggiano
le correnti interne di maggioranza.
Chi
ad esempio si è perso quella puntata di Report su Di Pietro farebbe
bene a recuperarla prima di votarlo; costui si rifiuta di mostrare dieci
anni di contabilità della associazione personalissima dentro cui ha
riversato i milioni di euro di rimborsi elettorali del suo partito,
altrettanto personale.
Oltretutto
quella stessa icona di facciata gode di una credibilità politica
costruita in magistratura come pubblico ministero: come altri, parimenti
criticabili (almeno si è dimesso dalla magistratura?); ma Ingroia
addirittura è il candidato premier, che ha creato il partito stesso.
Chi vuole un cane da guardia del PD.. voti SEL, soprattutto se vota in regioni cruciali al senato.
Sì,
SEL è solo un cagnolino da guardia. Ma è la volta buona in cui si può
fare qualcosa di sinistra, al governo. Voto utile. Voto utile !
La sera delle elezioni conterà la distanza percentuale tra le due coalizioni maggiori.
E chi vota RC rischia di avere aiutato in maniera determinante i cattivi: fate voi."
Davide, Bologna
Non condivido quanto detto da Davide, almeno non nella sua parte finale. E' vero che Rivoluzione Civile non è il partito perfetto. E' vero che Di Pietro ha fatto cose oscene. Ma se questo è il ragionamento, allora bisogna votare Grillo. Nel PD c'è gente al cui cospetto Di Pietro sembra un santarellino. Il braccio destro di Bersani è un tangentaro. Se vogliamo metterla su questo piano, il signor Riva dell'ILVA ha dato soldi allo stesso PD, e a Bersani in primis, poi c'è il problema MPS e mille altri. Fare le pulci a RC con questo record non è il massimo secondo me, soprattutto si finisce in una posizione un pò scomoda.
Se poi vogliamo parlare di coerenza, nel caso di SEL, fare un programma di sinistra per allearsi con chi il programma di sinistra non ce l'ha....beh, si commenta da sola. E quanto all'operazione politica per nascondere i vecchi partiti, di nuovo, il PD candida Marini, Bindi, Finocchiaro, etc etc. Di cosa stiamo parlando scusa??
Ed infine mi dici, è il momento in cui si può fare qualcosa di sinistra. Ma scusa, dobbiamo sempre basarci sul wishful thinking, sulle illusioni di cui anche sull'articolo del NYT? No perché per ora il PD ha introdotto la precarietà (98), ridotto le tasse ai ricchi (98), tolto l'art.18 (2012), introdotto un IMU che castiga tutti indiscriminatamente (2011), messo il pareggio di bilancio in Costituzione (2012) e votato il fiscal compact (2012). Quindi dobbiamo dare un voto utile sulla base di queste cose? O sulla base di quello che vorremmo? Se tra 5 anni avrà fatto qualcosa di sinistra, allora potrai rivendicare un voto utile per la sinistra. Per ora, dopo 20 anni, si può chiedere il voto per le cose che hanno fatto, di destra.
Che poi arrivino i cattivi, tutti sanno che non è vero. Berlusconi è dietro nei sondaggi e rischia di finire dietro pure a Grillo. Se poi dovessimo votare Bersani (o Vendola, col suo patto di governo...) che si vuole alleare con Monti - e dunque con Casini, Fini, Raisi e gentaglia assortita - ecco forse questi cattivi tormenteranno i tuoi sogni per i prossimi 5 anni!
Nicola - Londra
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L'Italia va al voto tra illusione e realtà
Che Italia è quella che va al voto, stretta tra un piazzista che in 20 anni non ha combinato nulla se non arricchirsi in maniera disgustosa e un comico che non ha uno straccio di programma economico? Un paese in cui la realtà, come dice Tim Parks, è troppo dura e ci si affida all'illusione per credere in qualcosa di meglio. Perchè la realtà è quella di Monti che tassa e che va a Berlino in ginocchio, del PD che negli ultimi 20 anni si è alternato al governo con Berlusconi senza poter portare un solo risultato buono all'infuori dell'euro che tanto buono ora non è più... Invece di votare per una speranza migliore, ci riduciamo ad affidarci alla fantasia. Bellissimo il pezzo di Parks dal New York Times
In Italy, Illusion Is the Only Reality
di Tim Parks
da New York Times
It takes a certain talent to live in happy denial, to slide toward the
edge of a precipice and be perfectly relaxed about it. Of all the
talents that Italians are renowned for, such nonchalance is perhaps
their greatest. Their economy is in deep recession; more than one in
three young adults are unemployed; they are unable to compete
economically with their neighbors; yet they continue as if nothing were
happening, or as if a small glitch in the dolce vita could be fixed with
the wave of a wand.In particular, whether in awe or horror, they continue to be enchanted
by the pied piper Silvio Berlusconi, the former and perhaps future prime
minister and fabulously wealthy media magnate. In the run-up to the
elections that begin today, he has promised to abolish the stiff
property tax that was introduced by the previous government and is
largely responsible for bringing a little credibility back to the
country’s finances (and that he voted for himself when it was
introduced). Not only would he abolish it, but he would actually pay
back what Italians paid on it last year.
The announcement, despite coming from a man who has repeatedly failed to
turn even the most promising political and economic circumstances into
anything resembling the collective good, earned Mr. Berlusconi a
considerable leap in the polls.
I have lived in Italy for 32 years. One of the first things that struck
me was the relation between action and consequence, which is different
in the other countries I knew, Britain and the United States. Here
someone is found to have abused their position of public office — given
jobs to relatives, accepted bribes, spent public money on personal
pleasures — but does not resign, does not think of resigning, attacks
the moralists and sails on regardless.
Statistics show that tax evasion is endemic, and the more so the more
one moves south, to the point that around Naples, dentists declare lower
incomes than policemen. Needless to say, the fiscal shortfall has to be
made up with government borrowing and higher taxes for those who do
pay.
Meanwhile, though sports is glaringly corrupt, fans are as passionate as
ever. As the owner of the big soccer club A. C. Milan, Mr. Berlusconi
decided, at the beginning of his campaign, to buy the star striker Mario
Balotelli. Again he was rewarded in the opinion polls.
The constant discrepancy between how one might expect things to pan out
and how they actually do is nothing new. On a tour through Italy in
1869, Mark Twain wrote, “I can not understand how a bankrupt Government
can have such palatial railroad depots.”
Things don’t change. Italy recently completed Europe’s fastest train
service; one can travel the 360 miles from Milan to Rome nonstop in just
2 hours and 45 minutes. In a country with a huge debt, this wonderful
engineering feat has cost an astonishing 150 billion euros (about $200
billion).
Nobody seems sure where the investment came from or how the project will
be paid for. One thing is certain: much of the money that legally
should have been allotted to local services must have found its way to
the high-speed project; to accommodate the few going fast, hosts of
working people grind to the office in dirty, overcrowded trains. But
what matters is the gleaming image of progress that the service
projects.
Benito Mussolini, perhaps the first great propagandist of the modern
era, understood perfectly this aspect of Italian psychology. “It is
faith which moves mountains because it gives the illusion that mountains
move,” he said. “Illusion is perhaps the only reality in life.”
On Jan. 27, at a ceremony for the national Holocaust remembrance day,
Mr. Berlusconi felt it was the right time to say that Mussolini had
actually done many good things and was not such a bad guy. He was
rewarded with another upward twitch in the opinion polls.
The answer, aside from the extraordinarily slow and complex judiciary
and a distressing lack of truly independent journalism, is that Mr.
Berlusconi’s political instincts mesh perfectly with the collective
determination not to face the truth, which again combines with deep fear
that a more serious leader might ask too much of them. One of the
things he has promised is a pardon for tax evaders. Only in a country
where tax evasion is endemic can one appeal to evaders at the expense of
those who actually pay taxes.
The mirror image of Mr. Berlusconi might be the caretaker prime minister
Mario Monti, an unelected professor of economics, who took over in late
2011, in the middle of the euro crisis. Foreign observers are convinced
Mr. Monti did a great job and deserves re-election; this is naïve. As
many Italians see it (and I agree), the professor merely bowed to
pressure from Berlin, cut spending where there was least resistance and
taxed everybody without regard to income. His election campaign, based
on a rhetoric of dour seriousness, has been disappointing. As a
colleague remarked, if one is to be fleeced by the government anyway,
better the entertainer than the pedant.
One entertainer seeking to capitalize on the situation is Beppe Grillo, a
rowdy ex-comedian-turned-political blogger whose Five Star Movement
proposes to sweep away the corrupt political order and promises a utopia
of salaries for the unemployed and a 30-hour workweek. Mr. Grillo’s
style is so demagogical and his party so dependent on his inflammatory
charisma that the 20 percent of the electorate supposedly planning to
vote for him must surely have decided that it simply does not matter if
the country is ungovernable after the elections.
Alternately, it may be that people feel that nothing can be done anyway,
so great is the power exercised over Italy by the European Union; hence
it is largely unimportant whom they vote for. Perhaps it is the effect
of centuries of Catholic paternalism and reckless electoral promises,
but nobody seems to envision a practical series of reforms to get from
where we are now to where we might want to be; in its place there are
prayers and fiscal fantasies.
Mussolini later corrected his comments on illusion. “It is impossible to
ignore reality,” he said, “however sad.” One wonders, as this election
approaches, how near Italy is to the moment when denial is no longer
possible. I imagine Mr. Berlusconi re-elected and the stock market
crashing, the country’s international credibility melting away so that
he must be removed in a matter of days. But then perhaps Italy’s woes
will be attributed to the perversities of international finance.
What is never countenanced is the notion that one has made very serious
mistakes, or that one might really have to adjust to a reality where
economic initiative has shifted decisively to the East, and investment
capital with it. Almost every political program in Italy expresses a
desire to return to the past, rather than understand the country’s place
in a changed world.
fonte: http://www.nytimes.com/2013/02/24/opinion/sunday/in-italy-illusion-is-the-only-reality.html?pagewanted=2&_r=0
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In Italia serve un pò di sinistra!
La sinistra serve. Soprattutto oggi. In un mondo, in un paese sfregiato da una diseguaglianza tra le più alte in Occidente non si può pensare ad una politica nuova senza la sinistra. In un paese in cui gli imprenditori ricattano i lavoratori, lavoro o diritti, non si può non avere sinistra. In una Europa in cui i mercati finanziari decidono le politiche economiche dei governi, non si può non avere sinistra. In una Italia in cui la disoccupazione sale, in cui il precariato soffoca le speranze di una vita decente e degna, serve la sinistra.
E' vero, servono anche altre cose. Un governo stabile, e allora serve il voto al PD. Ma il governo stabile senza la politica buona non serve. Un governo stabile ha bisogno di una opposizione che non gli permetta di far pagare il debito ai soliti noti. Serve allora una opposizione di sinistra.
Certo, serve una ventata di rinnovamento, e di protesta, e di controllo verso un regime autoreferenziale. Ed allora servirebbe il voto a Grillo. Ma il problema dell'Italia non è solo la corruzione. E' soprattutto il lavoro che manca. E' la mancata rappresentanza non solo della rabbia ma delle esigenze sociale ed economiche del lavoro, dei giovani, dei precari, di quelli che hanno meno. E no, non lo può fare SEL, che pure lo vorrebbe. Al governo col PD sarà costretta a ingoiare tanti bocconi amari, lasciando nuovamente scoperta la rappresentanza di tanti. Serve un voto a sinistra senza se e senza ma. Anche se Rivoluzione Civile non è stato quello che molti avrebbero voluto. Anche se Di Pietro ha gestito in maniera pessima l'Italia dei Valori. Anche se il Pdci non si mette mai d'accordo con Rifondazione. Il no al fiscal compact, il no alla riforma Fornero, il si alla patrimoniale sono le cose più importanti di cui ha bisogno l'Italia oggi. Solo Rivoluzione Civile le promette tutte e tre. Non è nè tanto né poco, ma è necessario.
Pur con tutti gli sbagli non possiam essere l'unico paese in Italia senza quella sinistra che vada oltre il PSE - il PSE del New Labour di Blair e dei suoi figliocci, di Hollande che ha tradito le promesse elettorali, del PSOE che ha lasciato che la Spagna andasse in malora, del PASOK che ha rovinato la Grecia. I socialisti lasciati a se stessi hanno fatto 20 anni di danni. Ed in fondo, se ci guardiamo alle spalle, quello che ha detto la sinistra dagli anni 90 in avanti si è rivelato giusto. Il mercato non funziona lasciato a se stesso, checchè ne dicano Giannino e Zingales. Il modello americano era sbagliato e portava povertà, se ne è accorto anche Obama, perchè non dovremmo riconoscerlo noi? Le liberalizzazioni rischiano di portare povertà e meno tutela, perchè rischiano di diventare liberalizzazioni dello sfruttamento, come è puntualmente successo. Le banche avevano troppo potere, e lo avevamo detto. La globalizzazione non portava più ricchezza per tutti ma uno schiacciamento verso il basso di salari e diritti - quello che ci accade tutti i giorni sotto il naso. Abbiamo sempre avuto ragione. E ora diciamo che il fiscal compact non funziona, che l'austerity è sbagliata, gli unici tra i partiti italiani a dirlo. E abbiamo ragione anche adesso, ce lo dice anche il Fondo Monetario Internazionale, non proprio la centrale dei comunisti.
Dunque l'Italia ha bisogna della sinistra che sia spina nel fianco a chiunque sia nel prossimo governo. Ne ha bisogno il Paese, ne ha bisogno la democrazia. Ne hai bisogno anche tu, anche se non sei di sinistra.
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E' vero, servono anche altre cose. Un governo stabile, e allora serve il voto al PD. Ma il governo stabile senza la politica buona non serve. Un governo stabile ha bisogno di una opposizione che non gli permetta di far pagare il debito ai soliti noti. Serve allora una opposizione di sinistra.
Certo, serve una ventata di rinnovamento, e di protesta, e di controllo verso un regime autoreferenziale. Ed allora servirebbe il voto a Grillo. Ma il problema dell'Italia non è solo la corruzione. E' soprattutto il lavoro che manca. E' la mancata rappresentanza non solo della rabbia ma delle esigenze sociale ed economiche del lavoro, dei giovani, dei precari, di quelli che hanno meno. E no, non lo può fare SEL, che pure lo vorrebbe. Al governo col PD sarà costretta a ingoiare tanti bocconi amari, lasciando nuovamente scoperta la rappresentanza di tanti. Serve un voto a sinistra senza se e senza ma. Anche se Rivoluzione Civile non è stato quello che molti avrebbero voluto. Anche se Di Pietro ha gestito in maniera pessima l'Italia dei Valori. Anche se il Pdci non si mette mai d'accordo con Rifondazione. Il no al fiscal compact, il no alla riforma Fornero, il si alla patrimoniale sono le cose più importanti di cui ha bisogno l'Italia oggi. Solo Rivoluzione Civile le promette tutte e tre. Non è nè tanto né poco, ma è necessario.
Pur con tutti gli sbagli non possiam essere l'unico paese in Italia senza quella sinistra che vada oltre il PSE - il PSE del New Labour di Blair e dei suoi figliocci, di Hollande che ha tradito le promesse elettorali, del PSOE che ha lasciato che la Spagna andasse in malora, del PASOK che ha rovinato la Grecia. I socialisti lasciati a se stessi hanno fatto 20 anni di danni. Ed in fondo, se ci guardiamo alle spalle, quello che ha detto la sinistra dagli anni 90 in avanti si è rivelato giusto. Il mercato non funziona lasciato a se stesso, checchè ne dicano Giannino e Zingales. Il modello americano era sbagliato e portava povertà, se ne è accorto anche Obama, perchè non dovremmo riconoscerlo noi? Le liberalizzazioni rischiano di portare povertà e meno tutela, perchè rischiano di diventare liberalizzazioni dello sfruttamento, come è puntualmente successo. Le banche avevano troppo potere, e lo avevamo detto. La globalizzazione non portava più ricchezza per tutti ma uno schiacciamento verso il basso di salari e diritti - quello che ci accade tutti i giorni sotto il naso. Abbiamo sempre avuto ragione. E ora diciamo che il fiscal compact non funziona, che l'austerity è sbagliata, gli unici tra i partiti italiani a dirlo. E abbiamo ragione anche adesso, ce lo dice anche il Fondo Monetario Internazionale, non proprio la centrale dei comunisti.
Dunque l'Italia ha bisogna della sinistra che sia spina nel fianco a chiunque sia nel prossimo governo. Ne ha bisogno il Paese, ne ha bisogno la democrazia. Ne hai bisogno anche tu, anche se non sei di sinistra.
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sabato 23 febbraio 2013
Cambia, tutto cambia
Si, è giunta l'ora di cambiare. Cambiamo non solo contro la politica corrotta, ma anche contro l'Europa non democratica, contro il fiscal compact, contro l'austerity, contro Marchionne.
Sulle note di Mercedes Sosa, allora, tutto cambia
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Per il lavoro con Rivoluzione Civile
Qui sotto l'intervista a Gianni Rinaldini, ex segretario della FIOM e membro del direttivo della CGIL. Rinaldini non ha dubbi. Per stare col lavoro, per ripristinare l'art.18 non si può che votare Rivoluzione Civile.
In Italia la vera emergenza è rappresentata dal lavoro. Eppure, in questa campagna elettorale, il precariato, la disoccupazione giovanile, il dramma delle piccole e medie imprese strangolate dalla crisi, il diritto dei lavoratori e delle lavoratrici di votare i contratti che li riguardano sono questioni completamente dimenticate. Per questo, sostengo e voterò Rivoluzione Civile, l’unica lista che rimette al centro del dibattito politico italiano la difesa e la dignità del lavoro. Voterò Rivoluzione Civile perché rappresenta l’alternativa al montismo e al berlusconismo e costituisce una scelta di cambiamento e di rottura con le politiche che, negli ultimi vent’anni, hanno aggravato la crisi, demolito lo stato sociale e smantellato i diritti dei lavoratori”. Così Gianni Rinaldini, del direttivo della Cgil, che in questi giorni è impegnato a sostenere la lista Ingroia con iniziative e manifestazioni in giro per l’Italia. “Voterò Rivoluzione Civile perché, insieme alle forze sociali e politiche che ne fanno parte, abbiamo condiviso le battaglie referendarie per cancellare l’articolo 8, con cui Berlusconi ha distrutto i contratti nazionali, e per ripristinare l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, cancellato da Monti con il voto complice del Pd”.
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Ingroia, Napolitano e il rispetto delle istituzioni
A leggere certi giornali e a sentire i discorsi dei dirigenti del PD e pure di SEL, sembra che Ingroia, Di Pietro e quelli di Rivoluzione Civile siano degli estremisti senza rispetto delle istituzioni ed è per questo che è stata chiusa loro la porta in faccia. Il nodo del problema, naturalmente, è stato il rapporto con Napolitano - intercettato dall'Ingroia magistrato e contestato da Di Pietro sia per il suo ruolo nella nascita del governo Monti, sia proprio per l'affaire intercettazioni.
In breve. Sul caso politico Di Pietro- Napolitano c'è poco da dire. A detta di tutti i commentatori Napolitano ebbe un ruolo attivissimo nella creazione del governo Monti, non a caso definito governo del Presidente anche sul Corriere della Sera, suo grande sponsor. Ruolo non anti-costituzionale ma che forza moltissimo le competenze del Presidente. E che lo mette, di fatto, al centro dell'agone politico, abbandonando il suo ruolo di super partes. Inevitabile dunque che, allo stesso tempo, la Presidenza finisca nella polemica. Ci mancherebbe pure altro!
Per quanto riguarda la vicenda giudiziaria, la cosa è più complessa. Napolitano finì casualmente e non premeditatamente nelle intercettazioni del pool anitmafia di Palermo perchè si intratteneva allegramente in conversazioni telefoniche con Nicola Mancino, già ministro dell'Interno e Presidente del Senato, indagato per la trattativa Stato-Mafia in concomitanza con le stragi di Capaci e via D'Amelio. Venuto a conoscenza del fatto Napolitano si rivolse immediatamente alla Corte Costituzionale perché le intercettazioni che lo riguardavano venissero immediatamente distrutte, altrimenti le sue prerogative sarebbero state lese. Quali prerogative non si sa, nè lo ha spiegato la Corte Costituzionale nella sua confusa e contestata sentenza con cui dava ragione al Quirinale.
Il punto però, ahimè, è un altro. E' lesa maestà contestare l'operato del Colle? E' un attacco alle istituzioni pretendere di sentire intercettazioni che possono essere importanti non per un presunto reato di Napolitano - per quello c'è ovviamente una procedura a parte - ma per il risultato del processo? A me pare una tesi davvero insostenibile. Non da giurista, da cittadino che pretende una politica trasparente ed onesta - se no diventa poi difficile contrastare chi vuole mandare tutti a casa. Il problema non può mai essere chi intercetta un politico indagato, il problema semmai è chi ci parla e perché ci parla con un politico indagato! Perchè Napolitano parlava del processo - e non di come si coltivano le mammole - con Mancino? Un Mancino accusato anche da diversi boss mafiosi ma comunque innocente fino a prova contraria, sia chiaro. Che però ha un ruolo ambiguo, che si trincera, con gli inquirenti, dietro degli assurdi non ricordo - lui Ministro dell'Interno durante le stragi.
Insomma, il comportamento di Napolitano è stato poco conveniente. Ma ancora meno conveniente è stato aprire il conflitto con la magistratura palermitana che, fino a prova contraria, è una istituzione pure essa. Un conflitto che si basa sui privilegi del Colle mentre l'interesse dell'Italia, che dovrebbe essere il solo a cuore del Presidente, è che si faccia luce completa sui rapporti Stato-Mafia. Rapporti che ci sono stati, che molti politici ormai neanche più negano, ma di cui ancora non sappiamo nulla - un segreto di Stato, un affare per pochi eletti che hanno una idea della democrazia alquanto privata.
Ed allora ben venga una rivoluzione civile non per far saltare in aria le istituzioni della Repubblica, ma anzi per ridare loro dignità, per metterle al servizio dei cittadini, per ripulire lo Stato. Ricordandosi sempre che il rispetto e la fedeltà la si deve alle istituzioni e non a chi le ricopre.
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In breve. Sul caso politico Di Pietro- Napolitano c'è poco da dire. A detta di tutti i commentatori Napolitano ebbe un ruolo attivissimo nella creazione del governo Monti, non a caso definito governo del Presidente anche sul Corriere della Sera, suo grande sponsor. Ruolo non anti-costituzionale ma che forza moltissimo le competenze del Presidente. E che lo mette, di fatto, al centro dell'agone politico, abbandonando il suo ruolo di super partes. Inevitabile dunque che, allo stesso tempo, la Presidenza finisca nella polemica. Ci mancherebbe pure altro!
Per quanto riguarda la vicenda giudiziaria, la cosa è più complessa. Napolitano finì casualmente e non premeditatamente nelle intercettazioni del pool anitmafia di Palermo perchè si intratteneva allegramente in conversazioni telefoniche con Nicola Mancino, già ministro dell'Interno e Presidente del Senato, indagato per la trattativa Stato-Mafia in concomitanza con le stragi di Capaci e via D'Amelio. Venuto a conoscenza del fatto Napolitano si rivolse immediatamente alla Corte Costituzionale perché le intercettazioni che lo riguardavano venissero immediatamente distrutte, altrimenti le sue prerogative sarebbero state lese. Quali prerogative non si sa, nè lo ha spiegato la Corte Costituzionale nella sua confusa e contestata sentenza con cui dava ragione al Quirinale.
Il punto però, ahimè, è un altro. E' lesa maestà contestare l'operato del Colle? E' un attacco alle istituzioni pretendere di sentire intercettazioni che possono essere importanti non per un presunto reato di Napolitano - per quello c'è ovviamente una procedura a parte - ma per il risultato del processo? A me pare una tesi davvero insostenibile. Non da giurista, da cittadino che pretende una politica trasparente ed onesta - se no diventa poi difficile contrastare chi vuole mandare tutti a casa. Il problema non può mai essere chi intercetta un politico indagato, il problema semmai è chi ci parla e perché ci parla con un politico indagato! Perchè Napolitano parlava del processo - e non di come si coltivano le mammole - con Mancino? Un Mancino accusato anche da diversi boss mafiosi ma comunque innocente fino a prova contraria, sia chiaro. Che però ha un ruolo ambiguo, che si trincera, con gli inquirenti, dietro degli assurdi non ricordo - lui Ministro dell'Interno durante le stragi.
Insomma, il comportamento di Napolitano è stato poco conveniente. Ma ancora meno conveniente è stato aprire il conflitto con la magistratura palermitana che, fino a prova contraria, è una istituzione pure essa. Un conflitto che si basa sui privilegi del Colle mentre l'interesse dell'Italia, che dovrebbe essere il solo a cuore del Presidente, è che si faccia luce completa sui rapporti Stato-Mafia. Rapporti che ci sono stati, che molti politici ormai neanche più negano, ma di cui ancora non sappiamo nulla - un segreto di Stato, un affare per pochi eletti che hanno una idea della democrazia alquanto privata.
Ed allora ben venga una rivoluzione civile non per far saltare in aria le istituzioni della Repubblica, ma anzi per ridare loro dignità, per metterle al servizio dei cittadini, per ripulire lo Stato. Ricordandosi sempre che il rispetto e la fedeltà la si deve alle istituzioni e non a chi le ricopre.
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Carrellata -Speciale Elezioni -
Care (E)lettrici e cari (E)lettori,
per non lasciarvi soli nel silenzio elettorale vi accompagniamo alle urne con una video carrellata che va dai comizi ai loro tragici effetti. Non che tutti questi film siano commedie, e non che ci sia necessariamente sempre da ridere, ma c'e' qualcosa che tutti questi film hanno in comune, l'amarezza celata dietro l'ironia. Evidentemente si tratta di qualcosa di profondamente radicato nella cultura italiana, e chissà' mai perché'.
Ogni Riferimento a fatti o persone e' puramente casuale.
Buon Voto!
Giulia Pirrone
Toto' - Gli onorevoli
Don Camillo
Palombella Rossa
Fantozzi
Sud
Aprile
Draquila
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Ogni Riferimento a fatti o persone e' puramente casuale.
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venerdì 22 febbraio 2013
Rivoluzione antifascista
Aggiornamento: nuovamente una iniziativa politica di Rivoluzione Civile, questa volta a Frosinone, è stata interrotta da una squadraccia di neofascisti. Democrazia sotto tiro mentre tutti gli altri partiti snobbano - se non addirittura sostengono o simpatizzano - la minaccia.
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L'economia di Grillo e quello che serve all'Italia
Proponiamo qui di seguito un articolo di Vladimiro Giacchè uscito sul numero in edicola di Micromega e sul sito on line. L'autore analizza con dovizia di particolare il programma economico del M5S che, come detto nel nostro post sullo tsunami Grillo, è molto limitato e non affronta i temi decisivi dell'economia. Il programma economico sembra infatti più che altro un insieme di buone intenzioni, senza alcuna analisi sistemica dei problemi dell'Italia. Basti pensare che per ridurre un debito di 2000 miliardi di Euro si propone di diminuire i costi della politica, tagliare gli sprechi e modernizzare la pubblica amministrazione. Follia, una favola per bambini che non tiene conto di nessun numero. Nulla si dice sul fisco (se non un certo ammiccamento verso gli evasori), nulla si dice sull'austerity, nulla sul fiscal compact. Quasi nulla sul mercato del lavoro e sul precariato. Quasi zero sulla politica industriale.
Come detto, protesta legittima quella del M5S ma se si pensa di mettere a posto così l'Italia c'è davvero poco da sorridere. Tanto che lo stesso Grillo ha ammesso che non sono pronti per il governo. Ma non sono pronti neanche per l'opposizione dato che sui grandi temi dell'economia non hanno nessuna idea. Come possano controllare quello che farà il futuro governo è davvero un mistero...
La “Grillonomics”. Analisi del programma economico del MoVimento 5 Stelle
di Vladimiro Giacchè
da Micromega
In ogni caso procederò come segue: partirò dal programma economico che si può ricavare dai 16 punti, per poi verificarne più approfonditamente i contenuti con l’aiuto del documento programmatico vero e proprio.
Cosa c’è nel programma economico di Grillo
Nei 16 punti del 27 dicembre, per la verità, di economia non si parla troppo. Riproduco testualmente i punti di interesse sotto tale profilo: «reddito di cittadinanza» (punto 2), «misure immediate per il rilancio della piccola e media impresa sul modello francese» (13), «ripristino dei fondi tagliati alla sanità e alla scuola pubblica con tagli alle Grandi Opere Inutili come la Tav» (14).
Hanno inoltre implicazioni economiche anche altri punti del programma: «legge anticorruzione» (punto 1), «abolizione dei contributi pubblici ai partiti» (3), «abolizione immediata dei finanziamenti diretti e indiretti ai giornali» (4), «referendum sulla permanenza nell’euro» (6), «informatizzazione e semplificazione dello Stato» (15), «accesso gratuito alla Rete per cittadinanza» (16).
Per quanto riguarda il programma del movimento, esso approfondisce anche temi non presenti nei 16 punti. Lo ripercorro rapidamente seguendo i capitoli di cui si compone.
Energia. Assieme alla salute, l’unico altro caso in cui le proposte sono enunciate con un tentativo di ragionamento articolato – e non soltanto per cenni molto sintetici – è il tema dell’energia. Al riguardo il programma si sofferma in particolare sui temi del risparmio energetico e delle energie rinnovabili. Si propongono incentivazioni per fonti rinnovabili e biocombustibili, e si chiede (giustamente, anche se la cosa non sembra di competenza del parlamento) l’applicazione di norme già in essere, ma disattese, sul risparmio energetico. C’è anche qualche incoerenza. Ad esempio, prima si confrontano i rendimenti energetici attuali delle centrali termoelettriche dell’Enel con gli standard delle centrali di nuova generazione, poi però si dice che non bisogna costruire nuove centrali ma rendere più efficienti quelle già esistenti.
Informazione. Il tema dell’informazione, al quale il Movimento 5 Stelle è tradizionalmente molto sensibile, ha alcune implicazioni di natura economica. Sia in termini di risparmi per lo Stato (attraverso l’eliminazione dei contributi pubblici per il finanziamento delle testate giornalistiche: è anche il quarto dei 16 punti), sia in termini di maggiori spese: così è per la «cittadinanza digitale per nascita, accesso alla rete gratuito per ogni cittadino italiano» (una più chiara articolazione del sedicesimo punto) e per la «copertura completa dell’Adsl a livello di territorio nazionale»; così è, soprattutto, per la «statalizzazione della dorsale telefonica, con il suo riacquisto a prezzo di costo da Telecom Italia e l’impegno da parte dello Stato di fornire gli stessi servizi a prezzi competitivi a ogni operatore telefonico».
Economia. Il tema economia è comprensibilmente molto vasto. Possiamo raggruppare le proposte secondo l’ambito a cui si riferiscono.
Molte proposte concernono il funzionamento del mercato finanziario: introduzione della class action, abolizione delle scatole cinesi in Borsa, abolizione di cariche multiple da parte di consiglieri di amministrazione nei consigli di società quotate (questo per la verità è già avvenuto con il decreto legge 201/2011, che regolamenta il cosiddetto «divieto di interlocking», e che è già applicato in base al regolamento congiunto Consob-Banca d’Italia dell’aprile 2012), «introduzione di strutture di reale rappresentanza dei piccoli azionisti nelle società quotate», introduzione di un tetto per gli stipendi dei manager delle società quotate in Borsa e delle aziende con partecipazione rilevante dello Stato, divieto di nomina di persone condannate in via definitiva come amministratori in aziende partecipate dallo Stato o quotate in Borsa (come caso da non ripetere il programma cita Paolo Scaroni all’Eni), abolizione delle stock options, divieto di acquisto a debito di una società.
Altre riguardano più precisamente il settore bancario: questo vale per il divieto di incroci azionari tra sistema bancario e sistema industriale e per l’introduzione della responsabilità e compartecipazione alle perdite degli istituti finanziari per i prodotti finanziari che offrono alla clientela.
Quanto al mercato del lavoro, troviamo la proposta di abolizione della (cosiddetta) legge Biagi e quella di un «sussidio di disoccupazione garantito» (che a dire il vero è un concetto diverso dal «reddito di cittadinanza» menzionato al secondo dei 16 punti citati sopra).
Riguardano i grandi settori economici della produzione di merci e servizi altri obiettivi: «impedire lo smantellamento delle industrie alimentari e manifatturiere con un prevalente mercato interno» (si propone anche di «favorire le produzioni locali»), abolire i «monopoli di fatto, in particolare Telecom Italia, Autostrade, Eni, Enel, Mediaset e Ferrovie dello Stato» e mettere in opera «disincentivi alle aziende che generano un danno sociale (per esempio distributori di acqua in bottiglia)». Nessun cenno, invece, alle «misure immediate per il rilancio della piccola e media impresa sul modello francese» che rappresentano il tredicesimo dei 16 punti.
Non conoscendo quale sia «il modello francese» a cui Grillo si riferisce, non è facile capire se questa lacuna del programma dettagliato sia grave o meno.
Infine, quanto alla riduzione del debito pubblico, si ritiene che essa possa essere conseguita «con forti interventi sui costi dello Stato con il taglio degli sprechi e con l’introduzione di nuove tecnologie per consentire al cittadino l’accesso alle informazioni e ai servizi senza bisogno di intermediari» (corrisponde grosso modo al quindicesimo punto).
Trasporti. Per quanto riguarda i trasporti, molti dei provvedimenti proposti vanno nella direzione di un disincentivo all’uso dell’automobile nei centri urbani. Quanto alle ferrovie, si propone il «blocco immediato della Tav in Val di Susa» e per contro lo «sviluppo delle tratte ferroviarie legate al pendolarismo». Più in generale, si propone una riduzione della mobilità lavorativa attraverso incentivi al telelavoro e, ancora una volta, alla copertura dell’intero paese con la banda larga.
Salute. Anche sul tema della salute, come su quello dell’ambiente, troviamo punti sviluppati in maniera più argomentata di quanto accada per gli altri temi.
Qui il programma di Grillo parte da una constatazione corretta, e assai sgradita alle diverse destre nostrane (tanto Berlusconi/Lega, quanto Monti): «L’Italia è uno dei pochi paesi con un sistema sanitario pubblico ad accesso universale». Questa caratteristica è però minacciata da un lato dal federalismo e dall’attribuzione alle regioni dell’assistenza sanitaria (il testo parla di devolution, ma il concetto è questo), dall’altro al fatto che «si tende a organizzare la sanità come un’azienda», facendo prevalere gli obiettivi economici sulla salute e sulla gratuità dei servizi. La risposta enunciata nel programma è l’imposizione di un ticket progressivo e proporzionale al reddito sulle prestazioni non essenziali e la possibilità di destinare l’8 per mille alla ricerca medico-scientifica.
Istruzione. Infine, l’istruzione. Qui si chiede l’abolizione della legge Gelmini, il finanziamento pubblico esclusivamente per la scuola pubblica e investimenti nella ricerca universitaria. Per il finanziamento alla scuola (e anche alla sanità) si può fare riferimento al quattordicesimo dei 16 punti: «ripristino dei fondi tagliati alla sanità e alla scuola pubblica con tagli alle Grandi Opere Inutili come la Tav». A occhio sembra un po’ poco… Ma la parte di programma sull’istruzione che suscita maggiori perplessità è quella relativa agli strumenti e alle modalità di studio: se si può condividere l’obiettivo di una «diffusione obbligatoria di internet», la «graduale abolizione dei libri di scuola stampati» non è affatto condivisibile. Lo stesso «accesso pubblico via Internet alle lezioni universitarie» non sembra un obiettivo confortato dai risultati (in genere tutt’altro che brillanti) ottenuti dalle cosiddette «università a distanza». Infine, due obiettivi francamente bizzarri, anche se molto di moda, sono le proposte di insegnamento obbligatorio dell’inglese dall’asilo e di abolizione del valore legale dei titoli di studio.
Cosa non c’è nel programma economico di Grillo
[...]
Euro. Nel programma in 16 punti troviamo l’unico accenno all’euro e all’Europa che sia dato rinvenire nei programmi del Movimento.
Non a caso, esso non riguarda un giudizio sui pro e contro della moneta unica, né sui processi che attualmente interessano l’Unione monetaria (balcanizzazione finanziaria e progressiva divergenza tra le economie dell’Eurozona, processi entrambi molto negativi per l’Italia e potenzialmente catastrofici per la stessa sopravvivenza della moneta unica), né sulle conseguenze per il nostro paese del cosiddetto fiscal compact e delle misure di austerity depressiva decise a livello europeo (con alcune tra esse, su tutte la riduzione del 5 per cento annuo del debito in eccesso rispetto al 60 per cento del pil, che colpiscono in misura particolarmente grave il nostro paese).
Si tratta invece della proposta di lanciare un «referendum sulla permanenza nell’euro». È un obiettivo che parla direttamente alla necessità, molto avvertita dai cittadini, di decidere del proprio destino e del ruolo dell’Italia in Europa.
Ma è un obiettivo sbagliato: anche i critici dell’euro più feroci e conseguenti (si pensi ad Alberto Bagnai) hanno infatti ben chiaro che uno dei presupposti essenziali per un’eventuale uscita non catastrofica di un paese dalla moneta unica consiste nell’avvenire in maniera rapida e inattesa, ponendo altrettanto tempestivamente vincoli sui movimenti dei capitali (in caso contrario, infatti, sarebbero pressoché certi un’enorme fuoriuscita di capitali e il fallimento in serie delle banche del paese interessato). Per questo motivo, è evidente che una campagna referendaria sull’euro condurrebbe l’Italia alla bancarotta ancora prima dell’eventuale uscita dall’euro. In ogni caso, è evidente che quest’unico accenno all’euro, slegato da ogni ragionamento sulla situazione europea (e sulle condizioni italiane in questo contesto), è molto debole e scarsamente persuasivo.
Ma a ben vedere non è questa l’unica, e neppure la principale lacuna del programma del Movimento 5 Stelle. Il punto è che mancano i capitoli cruciali di un ragionamento sulla situazione economica nazionale.
Lavoro. Come abbiamo visto sopra, gli unici cenni che riguardano il lavoro sono relativi all’abolizione della legge Biagi e all’indennità di disoccupazione. Un po’ poco in un paese che negli ultimi due anni ha conosciuto un vero e proprio smantellamento delle tutele del lavoro consolidate da oltre quarant’anni. L’abolizione di fatto del diritto di reintegro per i lavoratori licenziati non per giusta causa (art. 18 dello Statuto dei lavoratori) e lo smantellamento del presidio rappresentato dalla contrattazione nazionale (grazie all’articolo 8 del DL 138/2011 e alla libertà di deroga in peggio a livello aziendale delle condizioni stabilite nel contratto nazionale) rappresentano, molto semplicemente, una regressione di quasi mezzo secolo per i diritti dei lavoratori. Ma non rappresentano soltanto questo. Essi sono altrettanti tasselli di un modello di competitività che oltre ad essere ingiusto è perdente ed economicamente fallimentare. [...]
Fisco. Anche il tema del fisco è completamente trascurato. E dire che si tratta di uno dei nodi chiave per la finanza pubblica italiana. E quindi anche dal punto di vista del reperimento delle risorse necessarie a realizzare svariati punti del programma di Beppe Grillo. Non si può ragionevolmente pensare che la riduzione del debito pubblico possa essere conseguita – come si afferma nel programma del Movimento 5 Stelle – soltanto «con forti interventi sui costi dello Stato con il taglio degli sprechi e con l’introduzione di nuove tecnologie» (le quali ultime, anzi, abbisognano di ingenti investimenti che potranno essere ammortizzati in tempi non brevissimi).
Stando ad alcuni interventi pubblici dei mesi scorsi, si direbbe che Beppe Grillo negli ultimi mesi abbia scelto la strada più facile sui temi della fiscalità: quella dell’attacco a Equitalia (comodo capro espiatorio delle leggi sbagliate di questi anni), anziché quella della rivendicazione dell’equità fiscale e del rispetto della legge da parte di tutti i cittadini, a cominciare da chi da sempre scarica sugli altri (soprattutto sui lavoratori dipendenti) l’onere di pagare le tasse. [...]
Politica industriale. Le indicazioni del programma del Movimento 5 Stelle in tema di economia, come abbiamo visto, sono molto focalizzate sui mercati finanziari, ed esprimono abbastanza chiaramente gli interessi dei piccoli risparmiatori. Significative al riguardo la proposta di introdurre una vera class action e anche la suggestiva idea (purtroppo non meglio precisata) di introdurre «strutture di reale rappresentanza dei piccoli azionisti nelle società quotate».
Il problema nasce quando si passa a proposte di politica economica più generale. Il divieto di incrocio azionario tra banche e industria, ad esempio, in una situazione di crisi come l’attuale inasprirebbe la crisi (impedendo la trasformazione di crediti bancari inesigibili – e come è noto in giro ce ne sono parecchi – in partecipazioni azionarie nelle società debitrici). Quanto all’abolizione dei «monopoli di fatto», essa per diversi settori è priva di senso: quando si tratta di monopoli naturali (come nel caso delle autostrade) l’abolizione della condizione di monopolio è, infatti, impossibile. Quello su cui invece varrebbe la pena di ragionare, e seriamente, è se questi monopoli – proprio per la loro ineliminabilità – non siano da riportare sotto un controllo pubblico: solo così, infatti, la connessa rendita di monopolio potrebbe essere ripartita socialmente (anziché intascata dall’azionista privato).
Ma è evidente che il tema della proprietà pubblica delle imprese di interesse strategico, anche per Grillo, come per la stragrande maggioranza dei partiti che si presentano a queste elezioni, è tabù. L’unica eccezione riguarda la dorsale telefonica, di cui Grillo propone il riacquisto da parte dello Stato «al prezzo di costo».
Del pari è ignorata la necessità che lo Stato faccia politiche industriali: ossia elabori piani strategici di sviluppo dei settori principali dell’economia, con chiare politiche di incentivo e di disincentivo. L’unico accenno a politiche di questo genere presente nel programma riguarda i «disincentivi alle aziende che generano un danno sociale»: ben poca cosa rispetto a quanto troviamo nella nostra Costituzione, la quale all’articolo 41 prevede che l’iniziativa economica privata non possa «svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana», e all’articolo 43 dichiara che «a fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio e abbiano carattere di preminente interesse generale».
Il tema qui sollevato è di importanza cruciale.
È infatti ben difficile pensare che l’Italia possa risollevarsi dalla crisi attuale ampliando ulteriormente a spese dello Stato il peso della componente privata nell’economia o, come si dice, del «mercato». L’intervento pubblico è oggi necessario sia sotto un profilo strategico che da un punto di vista più immediato: per affrontare e risolvere le numerosissime crisi aziendali oggi aperte in Italia. Senza questo intervento, l’Italia è destinata a perdere pezzi rilevanti del suo apparato industriale, bruciando irrimediabilmente una quantità difficilmente calcolabile di posti di lavoro. Occorre un intervento pubblico, e occorre che esso sia coordinato e non confusamente decentrato secondo il modello «federalistico» attuale, tanto insostenibile economicamente quanto iniquo e fonte di corruzione. Il programma di Grillo sfiora questo problema, quando, in relazione alla sanità, individua una fonte di pericolo nel federalismo di questi anni. Ma è un giudizio che andrebbe approfondito e soprattutto generalizzato: si pensi alle politiche pubbliche di incentivazione alle imprese, che il federalismo ha disperso in mille rivoli e privato di efficacia, impedendone ogni sensata programmazione sul piano nazionale. Non è un caso se persino Confindustria oggi – un po’ tardivamente – sembra giunta alla conclusione che sia indispensabile una riforma del Titolo V della Costituzione (quello che è stato stravolto in senso «federalista»).
* * *
Uno Stato che non sia spettatore passivo di ciò che si muove nell’economia, e che non si limiti a socializzare le perdite dei privati. Un fisco realmente equo, che premi chi ha sempre pagato e faccia pagare chi può e deve. Una politica per la competitività basata su formazione pubblica di qualità (e non strangolata dai tagli lineari) e su maggiori investimenti (pubblici e privati) in ricerca e sviluppo tecnologico, anziché continuare a comprimere il costo del lavoro. Un’Italia in grado di far sentire la propria voce nel consesso europeo, e di rifiutare il cappio del fiscal compact. Sono queste le priorità di una politica economica in grado di ridare speranza a questo paese e a chi ci abita. Purtroppo, su nessuno di questi punti il programma di Grillo è di qualche aiuto.
fonte: http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-%E2%80%9Cgrillonomics%E2%80%9D-analisi-del-programma-economico-del-movimento-5-stelle/?h=6
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